La tesi, appartenente all’ambito tematico Disaster Risk Reduction, indaga le possibili relazioni, formali e funzionali, che gli spazi dell’emergenza instaurano con i luoghi a partire dalla loro caratterizzazione apparentemente ambigua, legata da un lato alla temporaneità degli usi, dall’altro alla permanenza dei manufatti infrastrutturali. Le precedenti risposte all’emergenza abitativa derivata da calamità naturali – nello specifico i terremoti – evidenziano che i segni delle infrastrutture di supporto alle costruzioni provvisorie e temporanee costituiscono solide permanenze sul territorio, onerose e difficili da rimuovere, per cui progressivamente abbandonate a loro stesse. Questa inevitabile calcificazione dell’evento emergenziale e temporaneo è lo stimolo per un ripensamento radicale delle aree deputate all’accoglienza e ricovero delle popolazioni colpite, che possono essere inquadrate in una visione più ampia di spazi per gli eventi a servizio del nucleo urbano. Per fare ciò questa tesi propone un confronto tra le strategie adottate a partire dal 1997 nei territori dell’Appennino centrale – approfondendo il caso studio del sisma del Centro Italia nel 2016-17 e delle conseguenti SAE, Soluzioni Abitative in Emergenza, nella Regione Marche – e tutti quei paesaggi temporanei e flessibili che costituiscono un prezioso patrimonio di conoscenze ed esperienze sul tema delle infrastrutture per eventi. Slegare la progettazione e la pianificazione di questa nuova tipologia urbanistica dal vincolo dello “stato di emergenza” significa inquadrare e sistematizzare la questione dal punto di vista della qualità architettonica degli spazi, ma soprattutto dare la possibilità alla comunità di definire e attivare a scala territoriale queste possibili aree da un punto di vista non più meramente normativo e quantitativo. La ricerca vuole dimostrare la possibilità di prevedere degli spazi aperti infrastrutturati utilizzabili nella quotidianità di una città, che siano in grado di assorbire prontamente ogni emergenza per tornare poi ad essere parte attiva della città stessa, evitando di rincorrere soluzioni e risposte estemporanee che lasciano sul territorio scarti di paesaggio inutilizzabile. La città di Sofronia si compone di due mezze città. In una c'è il grande ottovolante dalle ripide gobbe, la giostra con raggera di catene, la ruota delle gabbie girevoli, il pozzo della morte coi motociclisti a testa in giù, la cupola del circo col grappolo dei trapezi che pende in mezzo. L'altra mezza città è di pietra e marmo e cemento, con la banca, gli opifici, i palazzi, il mattatoio, la scuola e tutto il resto. Una delle mezze città è fissa, l'altra è provvisoria e quando il tempo della sua sosta è finito la schiodano e la portano via, per trapiantarla nei terreni vaghi d'un'altra mezza città. Così ogni anno arriva il giorno in cui i manovali staccano i frontoni di marmo, calano i muri di pietra, i piloni di cemento, smontano il ministero, il monumento, i docks, la raffineria di petrolio, l'ospedale, li caricano sui rimorchi, per seguire di piazza in piazza l'itinerario d'ogni anno. Qui resta la mezza Sofronia dei tirassegni e delle giostre, con il grido sospeso dalla navicella dell'ottovolante a capofitto, e comincia a contare quanti mesi, quanti giorni dovrà aspettare prima che ritorni la carovana e la vita intera ricominci. (Calvino, 2009)

Spazio tempo e infrastruttura. Elementi per la costruzione di paesaggi temporanei di emergenza

DI PIETRO, DANIA
2021-12-02

Abstract

La tesi, appartenente all’ambito tematico Disaster Risk Reduction, indaga le possibili relazioni, formali e funzionali, che gli spazi dell’emergenza instaurano con i luoghi a partire dalla loro caratterizzazione apparentemente ambigua, legata da un lato alla temporaneità degli usi, dall’altro alla permanenza dei manufatti infrastrutturali. Le precedenti risposte all’emergenza abitativa derivata da calamità naturali – nello specifico i terremoti – evidenziano che i segni delle infrastrutture di supporto alle costruzioni provvisorie e temporanee costituiscono solide permanenze sul territorio, onerose e difficili da rimuovere, per cui progressivamente abbandonate a loro stesse. Questa inevitabile calcificazione dell’evento emergenziale e temporaneo è lo stimolo per un ripensamento radicale delle aree deputate all’accoglienza e ricovero delle popolazioni colpite, che possono essere inquadrate in una visione più ampia di spazi per gli eventi a servizio del nucleo urbano. Per fare ciò questa tesi propone un confronto tra le strategie adottate a partire dal 1997 nei territori dell’Appennino centrale – approfondendo il caso studio del sisma del Centro Italia nel 2016-17 e delle conseguenti SAE, Soluzioni Abitative in Emergenza, nella Regione Marche – e tutti quei paesaggi temporanei e flessibili che costituiscono un prezioso patrimonio di conoscenze ed esperienze sul tema delle infrastrutture per eventi. Slegare la progettazione e la pianificazione di questa nuova tipologia urbanistica dal vincolo dello “stato di emergenza” significa inquadrare e sistematizzare la questione dal punto di vista della qualità architettonica degli spazi, ma soprattutto dare la possibilità alla comunità di definire e attivare a scala territoriale queste possibili aree da un punto di vista non più meramente normativo e quantitativo. La ricerca vuole dimostrare la possibilità di prevedere degli spazi aperti infrastrutturati utilizzabili nella quotidianità di una città, che siano in grado di assorbire prontamente ogni emergenza per tornare poi ad essere parte attiva della città stessa, evitando di rincorrere soluzioni e risposte estemporanee che lasciano sul territorio scarti di paesaggio inutilizzabile. La città di Sofronia si compone di due mezze città. In una c'è il grande ottovolante dalle ripide gobbe, la giostra con raggera di catene, la ruota delle gabbie girevoli, il pozzo della morte coi motociclisti a testa in giù, la cupola del circo col grappolo dei trapezi che pende in mezzo. L'altra mezza città è di pietra e marmo e cemento, con la banca, gli opifici, i palazzi, il mattatoio, la scuola e tutto il resto. Una delle mezze città è fissa, l'altra è provvisoria e quando il tempo della sua sosta è finito la schiodano e la portano via, per trapiantarla nei terreni vaghi d'un'altra mezza città. Così ogni anno arriva il giorno in cui i manovali staccano i frontoni di marmo, calano i muri di pietra, i piloni di cemento, smontano il ministero, il monumento, i docks, la raffineria di petrolio, l'ospedale, li caricano sui rimorchi, per seguire di piazza in piazza l'itinerario d'ogni anno. Qui resta la mezza Sofronia dei tirassegni e delle giostre, con il grido sospeso dalla navicella dell'ottovolante a capofitto, e comincia a contare quanti mesi, quanti giorni dovrà aspettare prima che ritorni la carovana e la vita intera ricominci. (Calvino, 2009)
2-dic-2021
Architecture, Design, Planning
Settore ICAR/14 - Composizione Architettonica e Urbana
Settore CEAR-09/A - Composizione architettonica e urbana
URN:NBN:IT:UNICAM-117192
D'ANNUNTIIS, Marco
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11581/480209
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