Il codice del terzo settore, d.lgs. n. 117/2017, viene considerato da taluni una riforma «epocale» volta a sistematizzare la disorganicità che ha caratterizzato la legislazione in tema 1. Prima del 2017 il terzo settore, quale categoria generale e ricognitiva di soggetti che si pongono al di fuori del mercato (c.d. primo settore) e dello Stato (c.d. secondo settore) per realizzare fini di interesse generale senza scopo di lucro soggettivo2, era infatti caratterizzato da una accentuata frammentazione normativa dovuta soprattutto al quadro variegato degli enti che ne facevano parte3 e delle connesse discipline di settore. Tale frammentarietà difficilmente poteva essere ricondotta ad unità alla luce del trattamento differenziato dei singoli enti in base al grado di solidarietà scelto nel proprio statuto. In generale, più forte era il limite all’autonomia privata del singolo ente con riferimento allo svolgimento di attività finalizzate al lucro oggettivo4, come ad esempio le attività di natura commerciale, maggiori erano i vantaggi sul piano fiscale e contributivo che comprendevano anche la nascita di particolari rapporti con la pubblica amministrazione. Basti pensare alla legge, ormai abrogata5 , sulle associazioni di volontariato, l. n. 266/1991, che all’art. 8 prevedeva delle «agevolazioni fiscali» per organizzazioni «costituite esclusivamente per fini di solidarietà», le cui attività commerciali eproduttive dovevano essere dunque «marginali»6 ; mentre all’art. 7 si sanciva la possibilità di stipulare convenzioni con lo «Stato, le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli altri enti pubblici»7. Allo stesso modo, il d.lgs. n. 383/2000, in materia di associazioni di promozione sociale, anch’esso abrogato8 , disciplinava la possibilità di ottenere agevolazioni di natura economica9 e la stipulazione di convenzioni «con lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le province, i comuni e gli altri enti pubblici»10 per soggetti che si fossero imposti come limite statutario «l’assenza di fini di lucro e la previsione che i proventi delle attività non po[tessero], in nessun caso, essere divisi fra gli associati, anche in forme indirette»; «l’obbligo di reinvestire l’eventuale avanzo di gestione a favore di attività istituzionali statutariamente previste»11 e l’utilizzo di risorse economiche «svolte in maniera ausiliaria e sussidiaria e comunque finalizzate al raggiungimento degli obiettivi istituzionali»12. Di contro, più deboli erano i limiti statutari indicati e minori sarebbero stati i vantaggi economici nel rapporto con l’amministrazione pubblica. Emblematiche in tal senso sono le imprese sociali caratterizzate dalla prevalenza di attività commerciale13. Il primo passo in direzione del codice del terzo settore è stato compiuto dalla l. n. 328/2000, la quale ha determinato un vero e proprio cambio di paradigma rispetto alle discipline passate ora in rassegna. Il legislatore ha tentato infatti di riportare ad unità soggetti diversi ma riconducibili al terzo settore, individuando la formula di «ente del terzo settore»14 ed una disciplina comune da applicare. La legge del 2000 appena richiamata, malgrado sia rivolta ai soli servizi sociali, ha avuto l’innegabile pregio di evidenziare il rilievo degli enti no profit nell’organizzazione e nell’azione amministrativa, prevedendo meccanismi di dialogo tra enti del terzo settore e pubblica amministrazione volti a fornire adeguatezza (intermini di aderenza ai bisogni) all’azione amministrativa mediante peculiari meccanismi di partecipazione alla redazione di atti amministrativi generali (Piano di zona, procedure di affidamento di servizi pubblici, ecc.). È grazie allo svolgimento senza scopo di lucro di attività di interesse generale e alla “prossimità” dell’ente del terzo settore nei confronti dei destinatari dell’azione che si prevede un suo coinvolgimento al fine di colmare asimmetrie informative tra pubblica amministrazione e realtà socio-economica in cui opera. Il riconoscimento formale del ruolo che il terzo settore svolge e dell’importanza che esso riveste per la società si è avuto con la riforma del titolo V parte seconda della Costituzione, attraverso l’introduzione del principio di sussidiarietà orizzontale all’art. 118 comma 4 Cost. che, come noto, afferma: «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Il principio appena indicato, ponendosi in continuità con il modello della l. n. 328/2000, ha valorizzato l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale attraverso il ruolo della pubblica amministrazione, creando un sistema di dialogo e di reciproca interazione fra terzo settore e pubblica amministrazione. Il principio di sussidiarietà orizzontale è però caratterizzato da genericità nella formulazione normativa, a partire dal tipo di attività che la pubblica amministrazione deve compiere per favorire gli enti del terzo settore, fino ad arrivare alla nozione di «interesse generale», tanto da mettere in discussione la sua prescrittività e far ritenere necessaria un’attuazione al livello legislativo15. Ed è proprio sotto questo profilo che il codice del terzo settore s’inserisce, ponendosi come esplicito obiettivo quello di attuare l’art. 118, comma 4 Cost., e di provvedere «al riordino e alla revisione organica della disciplina vigente in materia di enti del Terzo settore»16 .Non è casuale, difatti, l’utilizzo del termine «codice» che richiama storicamente una fase in cui si cercava di dare ordine e di sistematizzare un coacervo di norme afferenti alla stessa materia17. Ma nonostante il d.lgs. n. 117/2017 conferisca una definizione di «attività di interesse generale» e di «ente del terzo settore», superando la settorialità della l. n. 238/2000 e la genericità di parte delle locuzioni presenti nell’art. 118 comma 4 Cost., residuano margini di indeterminatezza. Si pensi che il legislatore, nel riservare il Titolo VII del codice del terzo settore al rapporto tra enti del terzo settore e pubblica amministrazione, introduce (agli artt. 55 e 56, d.lgs. n. 117/2017) tre istituti innovativi, ma allo stesso tempo caratterizzati da un certo tasso di genericità nella formulazione normativa. Si tratta della co-programmazione18, della co-progettazione19 e delle convenzioni per l’affidamento di «attività o servizi sociali» a particolari enti del terzo settore20, la cui indeterminatezza consiste sostanzialmente nell’individuazione dei soli obiettivi che gli istituti richiamati devono realizzare. La difficoltà di comprendere lo spirito e la portata degli istituti appena indicati non deriva solo dalla formulazione normativa ma anche dalla scarsa presenza di dottrina e giurisprudenza in tema. Ciò a differenza di quanto disciplinato dall’art. 57, d.lgs. n. 117/2017, il quale cristallizza quanto già disposto dal considerando 28 della direttiva 2014/24/UE (e dall’orientamento costante della Corte di giustizia) in materia di affidamenti dei servizi di trasporto sanitario d’urgenza, escludendolo di conseguenza dal presente campo d’indagine. Sebbene la frammentarietà e l’indeterminatezza del dato positivo si siano posti inevitabilmente come limite alla realizzazione degli obiettivi di attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale, gli enti del terzo settore hanno comunque saputo trovare nel corso degli anni un ruolo sempre più rilevante nel nostro ordinamento, rispondendo ai bisogni della cittadinanza che difficilmente, specie in una dimensionedi crisi economica del welfare state21, possono essere soddisfatti con le sole risorse e conoscenze della pubblica amministrazione. Del resto, come evidenziato dalla Corte costituzionale, il terzo settore non supplisce solamente alle scarse risorse economiche dell’amministrazione, ma fornisce anche efficacia all’attività amministrativa, colmando le lacune conoscitive ed organizzative della p.a., dovute alla fisiologica mancanza di prossimità con l’utenza. In effetti, gli enti del terzo settore, essendo rappresentativi della «società solidale», «spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della “società del bisogno”»22. D’altronde, la necessità di creare un’amministrazione condivisa tra terzo settore e pubblica amministrazione attraverso gli strumenti di dialogo offerti dal codice del terzo settore è stata posta come priorità dal «Piano nazionale di ripresa e resilienza» che, in diverse parti, pone come obiettivo non solo il sostegno degli enti del terzo settore ma anche l’utilizzo della loro progettualità ed azione23. Il rilievo e l’attualità del tema impone al presente lavoro l’obiettivo di tentare di superare l’indeterminatezza degli istituti di co-programmazione, della co- progettazione e delle convenzioni per l’affidamento di un’attività o servizio sociale, così da comprendere la portata applicativa del d.lgs. n. 117/2017. Dal punto di vista metodologico, lo studio che si intende condurre cercherà di analizzare la tradizione giuridica che aveva teorizzato l’inserimento del privato nell’organizzazione della pubblica amministrazione ed il suo necessario coinvolgimento nell’azione amministrativa in funzione collaborativa. A seguito diquesta analisi si valuterà se i modelli elaborati dalla dottrina possano o meno trovare applicazione negli istituti oggetto della presente disamina. Sebbene la tradizione giuridica risulti essenziale per comprendere l’origine e lo spirito del Titolo VII del codice del terzo settore, non si trascurerà l’interpretazione analogica di istituti consimili che prevedano parimenti forme di collaborazione tra privato sociale e pubblica amministrazione. Forti dell’insegnamento di Feliciano Benvenuti, circa l’esigenza di garantire armonia al sistema24, l’interpretazione dei singoli istituti non tralascerà il contesto giuridico nel quale vengono inseriti, con particolare riferimento al principio di libera concorrenza, alla luce del contrasto tra codice del terzo settore e codice dei contratti pubblici, delineato recentemente dal Consiglio di Stato, frutto della tradizionale (e forse solo apparente) frizione di solidarietà e mercato. Tanto premesso, sembra opportuno anticipare la struttura della ricerca e delle parti in cui essa si articolerà, al fine di indicare sinteticamente la traiettoria espositiva di questo lavoro. Il primo capitolo affronterà il tema del legame tra principio di sussidiarietà orizzontale e codice del terzo settore. Tale analisi servirà per comprendere le origini del d.lgs. n. 117/2017 nonché fornire una possibile (per quanto limitata) definizione di pubblica amministrazione e di ente del terzo settore per comprendere la natura dei soggetti del rapporto che qui si vuole analizzare. Il secondo capitolo è invece dedicato al tema dell’organizzazione amministrativa. Esso indagherà in che modo il codice de terzo settore abbia considerato il privato-sociale un elemento essenziale dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni. Delineati i termini del rapporto d’indagine ed il modello organizzativo in cui esso s’innesta, il terzo capitolo si pone l’intento di superare l’indeterminatezza degli istituti di co-programmazione e di co-progettazione definendone natura giuridica e portata applicativa. Il presente elaborato terminerà con il quarto capitolo in cui si valuterà la compatibilità degli istituti oggetto d’indagine, così come delineati nel precedente capitolo, con il principio della libera concorrenza sancito dalle direttive europee 2014/23/UE e 2014/24/UE. Si cercherà in tal modo di superare le posizioni dottrinali e giurisprudenziali che rinvengono un potenziale contrasto tra codice del terzo settore e disciplina europea.
Il rapporto tra Terzo Settore e Pubblica Amministrazione secondo il D.Lgs. n. 117/2017: prospettive applicative nell'ottica dell'evidenza pubblica
BERRETTINI, ALESSANDRO
2021-10-06
Abstract
Il codice del terzo settore, d.lgs. n. 117/2017, viene considerato da taluni una riforma «epocale» volta a sistematizzare la disorganicità che ha caratterizzato la legislazione in tema 1. Prima del 2017 il terzo settore, quale categoria generale e ricognitiva di soggetti che si pongono al di fuori del mercato (c.d. primo settore) e dello Stato (c.d. secondo settore) per realizzare fini di interesse generale senza scopo di lucro soggettivo2, era infatti caratterizzato da una accentuata frammentazione normativa dovuta soprattutto al quadro variegato degli enti che ne facevano parte3 e delle connesse discipline di settore. Tale frammentarietà difficilmente poteva essere ricondotta ad unità alla luce del trattamento differenziato dei singoli enti in base al grado di solidarietà scelto nel proprio statuto. In generale, più forte era il limite all’autonomia privata del singolo ente con riferimento allo svolgimento di attività finalizzate al lucro oggettivo4, come ad esempio le attività di natura commerciale, maggiori erano i vantaggi sul piano fiscale e contributivo che comprendevano anche la nascita di particolari rapporti con la pubblica amministrazione. Basti pensare alla legge, ormai abrogata5 , sulle associazioni di volontariato, l. n. 266/1991, che all’art. 8 prevedeva delle «agevolazioni fiscali» per organizzazioni «costituite esclusivamente per fini di solidarietà», le cui attività commerciali eproduttive dovevano essere dunque «marginali»6 ; mentre all’art. 7 si sanciva la possibilità di stipulare convenzioni con lo «Stato, le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli altri enti pubblici»7. Allo stesso modo, il d.lgs. n. 383/2000, in materia di associazioni di promozione sociale, anch’esso abrogato8 , disciplinava la possibilità di ottenere agevolazioni di natura economica9 e la stipulazione di convenzioni «con lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le province, i comuni e gli altri enti pubblici»10 per soggetti che si fossero imposti come limite statutario «l’assenza di fini di lucro e la previsione che i proventi delle attività non po[tessero], in nessun caso, essere divisi fra gli associati, anche in forme indirette»; «l’obbligo di reinvestire l’eventuale avanzo di gestione a favore di attività istituzionali statutariamente previste»11 e l’utilizzo di risorse economiche «svolte in maniera ausiliaria e sussidiaria e comunque finalizzate al raggiungimento degli obiettivi istituzionali»12. Di contro, più deboli erano i limiti statutari indicati e minori sarebbero stati i vantaggi economici nel rapporto con l’amministrazione pubblica. Emblematiche in tal senso sono le imprese sociali caratterizzate dalla prevalenza di attività commerciale13. Il primo passo in direzione del codice del terzo settore è stato compiuto dalla l. n. 328/2000, la quale ha determinato un vero e proprio cambio di paradigma rispetto alle discipline passate ora in rassegna. Il legislatore ha tentato infatti di riportare ad unità soggetti diversi ma riconducibili al terzo settore, individuando la formula di «ente del terzo settore»14 ed una disciplina comune da applicare. La legge del 2000 appena richiamata, malgrado sia rivolta ai soli servizi sociali, ha avuto l’innegabile pregio di evidenziare il rilievo degli enti no profit nell’organizzazione e nell’azione amministrativa, prevedendo meccanismi di dialogo tra enti del terzo settore e pubblica amministrazione volti a fornire adeguatezza (intermini di aderenza ai bisogni) all’azione amministrativa mediante peculiari meccanismi di partecipazione alla redazione di atti amministrativi generali (Piano di zona, procedure di affidamento di servizi pubblici, ecc.). È grazie allo svolgimento senza scopo di lucro di attività di interesse generale e alla “prossimità” dell’ente del terzo settore nei confronti dei destinatari dell’azione che si prevede un suo coinvolgimento al fine di colmare asimmetrie informative tra pubblica amministrazione e realtà socio-economica in cui opera. Il riconoscimento formale del ruolo che il terzo settore svolge e dell’importanza che esso riveste per la società si è avuto con la riforma del titolo V parte seconda della Costituzione, attraverso l’introduzione del principio di sussidiarietà orizzontale all’art. 118 comma 4 Cost. che, come noto, afferma: «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Il principio appena indicato, ponendosi in continuità con il modello della l. n. 328/2000, ha valorizzato l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale attraverso il ruolo della pubblica amministrazione, creando un sistema di dialogo e di reciproca interazione fra terzo settore e pubblica amministrazione. Il principio di sussidiarietà orizzontale è però caratterizzato da genericità nella formulazione normativa, a partire dal tipo di attività che la pubblica amministrazione deve compiere per favorire gli enti del terzo settore, fino ad arrivare alla nozione di «interesse generale», tanto da mettere in discussione la sua prescrittività e far ritenere necessaria un’attuazione al livello legislativo15. Ed è proprio sotto questo profilo che il codice del terzo settore s’inserisce, ponendosi come esplicito obiettivo quello di attuare l’art. 118, comma 4 Cost., e di provvedere «al riordino e alla revisione organica della disciplina vigente in materia di enti del Terzo settore»16 .Non è casuale, difatti, l’utilizzo del termine «codice» che richiama storicamente una fase in cui si cercava di dare ordine e di sistematizzare un coacervo di norme afferenti alla stessa materia17. Ma nonostante il d.lgs. n. 117/2017 conferisca una definizione di «attività di interesse generale» e di «ente del terzo settore», superando la settorialità della l. n. 238/2000 e la genericità di parte delle locuzioni presenti nell’art. 118 comma 4 Cost., residuano margini di indeterminatezza. Si pensi che il legislatore, nel riservare il Titolo VII del codice del terzo settore al rapporto tra enti del terzo settore e pubblica amministrazione, introduce (agli artt. 55 e 56, d.lgs. n. 117/2017) tre istituti innovativi, ma allo stesso tempo caratterizzati da un certo tasso di genericità nella formulazione normativa. Si tratta della co-programmazione18, della co-progettazione19 e delle convenzioni per l’affidamento di «attività o servizi sociali» a particolari enti del terzo settore20, la cui indeterminatezza consiste sostanzialmente nell’individuazione dei soli obiettivi che gli istituti richiamati devono realizzare. La difficoltà di comprendere lo spirito e la portata degli istituti appena indicati non deriva solo dalla formulazione normativa ma anche dalla scarsa presenza di dottrina e giurisprudenza in tema. Ciò a differenza di quanto disciplinato dall’art. 57, d.lgs. n. 117/2017, il quale cristallizza quanto già disposto dal considerando 28 della direttiva 2014/24/UE (e dall’orientamento costante della Corte di giustizia) in materia di affidamenti dei servizi di trasporto sanitario d’urgenza, escludendolo di conseguenza dal presente campo d’indagine. Sebbene la frammentarietà e l’indeterminatezza del dato positivo si siano posti inevitabilmente come limite alla realizzazione degli obiettivi di attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale, gli enti del terzo settore hanno comunque saputo trovare nel corso degli anni un ruolo sempre più rilevante nel nostro ordinamento, rispondendo ai bisogni della cittadinanza che difficilmente, specie in una dimensionedi crisi economica del welfare state21, possono essere soddisfatti con le sole risorse e conoscenze della pubblica amministrazione. Del resto, come evidenziato dalla Corte costituzionale, il terzo settore non supplisce solamente alle scarse risorse economiche dell’amministrazione, ma fornisce anche efficacia all’attività amministrativa, colmando le lacune conoscitive ed organizzative della p.a., dovute alla fisiologica mancanza di prossimità con l’utenza. In effetti, gli enti del terzo settore, essendo rappresentativi della «società solidale», «spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della “società del bisogno”»22. D’altronde, la necessità di creare un’amministrazione condivisa tra terzo settore e pubblica amministrazione attraverso gli strumenti di dialogo offerti dal codice del terzo settore è stata posta come priorità dal «Piano nazionale di ripresa e resilienza» che, in diverse parti, pone come obiettivo non solo il sostegno degli enti del terzo settore ma anche l’utilizzo della loro progettualità ed azione23. Il rilievo e l’attualità del tema impone al presente lavoro l’obiettivo di tentare di superare l’indeterminatezza degli istituti di co-programmazione, della co- progettazione e delle convenzioni per l’affidamento di un’attività o servizio sociale, così da comprendere la portata applicativa del d.lgs. n. 117/2017. Dal punto di vista metodologico, lo studio che si intende condurre cercherà di analizzare la tradizione giuridica che aveva teorizzato l’inserimento del privato nell’organizzazione della pubblica amministrazione ed il suo necessario coinvolgimento nell’azione amministrativa in funzione collaborativa. A seguito diquesta analisi si valuterà se i modelli elaborati dalla dottrina possano o meno trovare applicazione negli istituti oggetto della presente disamina. Sebbene la tradizione giuridica risulti essenziale per comprendere l’origine e lo spirito del Titolo VII del codice del terzo settore, non si trascurerà l’interpretazione analogica di istituti consimili che prevedano parimenti forme di collaborazione tra privato sociale e pubblica amministrazione. Forti dell’insegnamento di Feliciano Benvenuti, circa l’esigenza di garantire armonia al sistema24, l’interpretazione dei singoli istituti non tralascerà il contesto giuridico nel quale vengono inseriti, con particolare riferimento al principio di libera concorrenza, alla luce del contrasto tra codice del terzo settore e codice dei contratti pubblici, delineato recentemente dal Consiglio di Stato, frutto della tradizionale (e forse solo apparente) frizione di solidarietà e mercato. Tanto premesso, sembra opportuno anticipare la struttura della ricerca e delle parti in cui essa si articolerà, al fine di indicare sinteticamente la traiettoria espositiva di questo lavoro. Il primo capitolo affronterà il tema del legame tra principio di sussidiarietà orizzontale e codice del terzo settore. Tale analisi servirà per comprendere le origini del d.lgs. n. 117/2017 nonché fornire una possibile (per quanto limitata) definizione di pubblica amministrazione e di ente del terzo settore per comprendere la natura dei soggetti del rapporto che qui si vuole analizzare. Il secondo capitolo è invece dedicato al tema dell’organizzazione amministrativa. Esso indagherà in che modo il codice de terzo settore abbia considerato il privato-sociale un elemento essenziale dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni. Delineati i termini del rapporto d’indagine ed il modello organizzativo in cui esso s’innesta, il terzo capitolo si pone l’intento di superare l’indeterminatezza degli istituti di co-programmazione e di co-progettazione definendone natura giuridica e portata applicativa. Il presente elaborato terminerà con il quarto capitolo in cui si valuterà la compatibilità degli istituti oggetto d’indagine, così come delineati nel precedente capitolo, con il principio della libera concorrenza sancito dalle direttive europee 2014/23/UE e 2014/24/UE. Si cercherà in tal modo di superare le posizioni dottrinali e giurisprudenziali che rinvengono un potenziale contrasto tra codice del terzo settore e disciplina europea.File | Dimensione | Formato | |
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