La prima segnalazione di infezione da Mycobacterium bovis nel cinghiale risale agli anni’30 dello scorso secolo in Germania, mentre in Italia la malattia è stata diagnostica per la prima volta nei primi anni ‘90 in Liguria, in casi sporadici caratterizzati da quadri patologici di modesta entità. A partire dal 2002 fino ad oggi sono stati identificati regolarmente casi di infezione nel cinghiale nelle Marche, nel comprensorio appenninico del Monte San Vicino, caratterizzati dalla presenza di un ceppo di M. bovis geneticamente identico e responsabile di infezioni concomitanti nella popolazione bovina locale. Il numero dei casi positivi nel cinghiale è andato sempre aumentando dimostrando un suo ruolo attivo nel mantenimento dell’infezione nell’area sottoposta a controllo. I quadri anatomopatologici osservati negli ultimi anni mettono in evidenza un aumento di forme caratterizzate da generalizzazione della malattia rispetto alle più diffuse forme da complesso primario localizzate a livello dei linfonodi retrofaringei e sottomandibolari. Nelle ultime tre stagioni venatorie 2020-2021, 2021-2022 e 2022-2023 la percentuale di soggetti con lesioni patologiche macroscopiche e microscopiche da infezione tubercolare riferibili a quadri di generalizzazione sono state rispettivamente del 39%, 38% e 36% rispetto al totale dei casi con lesioni tubercolari, a dimostrazione che una buona parte dei soggetti infetti al momento dell’esame anatomo-patologico hanno un ridotto controllo dell’infezione fungendo da importanti diffusori del patogeno nell’ambiente silvestre. Recentemente nella stessa area territoriale è stato identificato un soggetto di istrice deceduto con forma sistemica di tubercolosi bovina, dal quale è stato isolato il medesimo ceppo del cinghiale e del bovino. L’aggravarsi della malattia nel cinghiale e l’osservazione di una forma sistemica in un’altra specie selvatica sono segnali da non sottovalutare per il reale rischio di estensione dei focolai a territori limitrofi rappresentando un serio ostacolo all’eradicazione della malattia nella specie bovina.

III Congresso Nazionale FILIERA DELLE CARNI DI SELVAGGINA SELVATICA

Magi Gian Enrico
2023-01-01

Abstract

La prima segnalazione di infezione da Mycobacterium bovis nel cinghiale risale agli anni’30 dello scorso secolo in Germania, mentre in Italia la malattia è stata diagnostica per la prima volta nei primi anni ‘90 in Liguria, in casi sporadici caratterizzati da quadri patologici di modesta entità. A partire dal 2002 fino ad oggi sono stati identificati regolarmente casi di infezione nel cinghiale nelle Marche, nel comprensorio appenninico del Monte San Vicino, caratterizzati dalla presenza di un ceppo di M. bovis geneticamente identico e responsabile di infezioni concomitanti nella popolazione bovina locale. Il numero dei casi positivi nel cinghiale è andato sempre aumentando dimostrando un suo ruolo attivo nel mantenimento dell’infezione nell’area sottoposta a controllo. I quadri anatomopatologici osservati negli ultimi anni mettono in evidenza un aumento di forme caratterizzate da generalizzazione della malattia rispetto alle più diffuse forme da complesso primario localizzate a livello dei linfonodi retrofaringei e sottomandibolari. Nelle ultime tre stagioni venatorie 2020-2021, 2021-2022 e 2022-2023 la percentuale di soggetti con lesioni patologiche macroscopiche e microscopiche da infezione tubercolare riferibili a quadri di generalizzazione sono state rispettivamente del 39%, 38% e 36% rispetto al totale dei casi con lesioni tubercolari, a dimostrazione che una buona parte dei soggetti infetti al momento dell’esame anatomo-patologico hanno un ridotto controllo dell’infezione fungendo da importanti diffusori del patogeno nell’ambiente silvestre. Recentemente nella stessa area territoriale è stato identificato un soggetto di istrice deceduto con forma sistemica di tubercolosi bovina, dal quale è stato isolato il medesimo ceppo del cinghiale e del bovino. L’aggravarsi della malattia nel cinghiale e l’osservazione di una forma sistemica in un’altra specie selvatica sono segnali da non sottovalutare per il reale rischio di estensione dei focolai a territori limitrofi rappresentando un serio ostacolo all’eradicazione della malattia nella specie bovina.
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