Un viaggio per immagini nell’architettura di Fernard Pouillon Le opere di Pouillon pur essendo sotto gli occhi di tutti, non sono mai state guardate con l’attenzione necessaria, nelle riviste dell’epoca nessuno si prendeva la briga di mostrarle, non lo usavano fare neppure quelli che lo conoscevano e lo apprezzavano, sicuramente per la sua controversa storia personale. La personalità dell’architetto è segnata dall’emarginazione da un profondo anticonformismo rispetto alla generazione di chi lo ha preceduto e dei suoi contemporanei, che forse gli invidiavano la capacità di saper costruire meglio di loro. Ancora oggi la sua architettura resta sospesa, tra modernità e tradizione locale, ma anche continua a stupirci per la sua grande attualità. Il tempo sembra non aver consumato la lingua semplice e diretta dell’architetto francese, che nasce dall’attenta lettura dell’architettura classica, non sto parlando di linguaggio naturalmente, ma parlo della sapienza costruttiva che ha radici lontane. Questa sapienza Pouillon l’ha descritta in un bellissimo romanzo sul capomastro dell’Abbazia di Thoronet, Le pietre selvagge, nelle cui pagine forse è nascosta la chiave di lettura della sua architettura. Forse per modestia pretendeva di non essere altro che un costruttore poiché disprezzava l’ arrogante vanità degli architetti contemporanei. Per scoprire l’architettura di Pouillon è necessario passare attraverso l’Algeria come hanno fatto due artisti, Leo Fabrizio e Daphne Bengoa . Un viaggio nell’anima della città, una rilettura per immagini, luoghi e storie di persone che definisce una corrispondenza precisa tra l’architettura e la città, senza dimenticare gli uomini che vivono quotidianamente gli spazi. Un racconto dell’architettura di Pouillon fatto per immagini. In Algeria Leo Fabrizio ha scoperto una realtà diversa, rispetto a quella che ci restituisce la storia: “nelle case popolari che ho visitato, tutti, vecchi e giovani, ricordano due nomi: quello di Pouillon e quello del sindaco Jacques Chevallier che gli commissionò gli edifici, alcuni dei quali risalgono agli anni ’50”. Poullion ha avuto la capacità di pensare l’architettura sempre in relazione allo spazio urbano che la ospita e a quello che gli edifici generano, una cosa poco comune nell’architettura del suo tempo abituata a rispondere solo ad esigenze normative. Questa inclinazione si è tradotta in figure urbane semplici, dalle forme regolari facilmente riconoscibili, ricollegabili a certe grandi composizioni tradizionali; un’architettura solida, fatta di tecniche consolidate e soluzioni conosciute, ma sempre reinveste a costruire un altro testo. Avevamo messo gli uomini ad abitare in un monumento, realizzare un monumento esclusivamente di abitazioni e tutt’altro che scontato scrive Poullion riguardo al celebre Climat de France ad Algeri, una vera e propria città nella città. La riproduzione di alloggi è sempre completata da spazi in grado di affermare non solo l’ individualità ma, al contrario, luoghi capaci di entrare nella memoria collettiva come spiega il grande colonnato della piazza delle 200 colonne. Il libro è fatto dalle foto di architettura di Fabrizio che cercano di entrare nello spazio per descriverlo anche quando lo ritraggono dall’esterno, fotografie senza abitanti per potersi coniugare con quelle di Daphné Bengoa che invece ritraggono le persone e nelle quali l’architettura è sfondo e racconto della vita di tutti giorni. Bengoa infatti ha scelto di introdurre lo spettatore, non dentro le case ma dentro la vita degli abitanti. “Nonostante ogni conversazione iniziasse con lunghe descrizioni riguardo i precedenti arrangiamenti delle stanze, i tipi di materiali o le modifiche degli spazi nel tempo, rapidamente le mie interlocutrici passavano ai ricordi di famiglia e alle preoccupazioni personali. Inoltre, anche se la maggior parte di loro rimpiangeva la mancanza di investimenti per mantenere gli edifici in buono stato, tutte ripetevano quanto si sentissero attaccate al loro quartiere e preferissero rimanere a vivere lì invece di essere spostate altrove”. Il progetto Fernand Pouillon et l’Algérie: Bâtir à hauteur d’hommes riesce a catturare, nello stesso modo le vite degli abitanti, la vita di un architetto sullo sfondo di una città che è protagonista assoluta di questo libro. Parlando di uomini ed architettura ci siamo infatti dimenticati di dire che questo libro è un atto d’amore per la città di Algeri.

Un viaggio per immagini nell'architettura di fernand Poullion

luca galofaro
2019-01-01

Abstract

Un viaggio per immagini nell’architettura di Fernard Pouillon Le opere di Pouillon pur essendo sotto gli occhi di tutti, non sono mai state guardate con l’attenzione necessaria, nelle riviste dell’epoca nessuno si prendeva la briga di mostrarle, non lo usavano fare neppure quelli che lo conoscevano e lo apprezzavano, sicuramente per la sua controversa storia personale. La personalità dell’architetto è segnata dall’emarginazione da un profondo anticonformismo rispetto alla generazione di chi lo ha preceduto e dei suoi contemporanei, che forse gli invidiavano la capacità di saper costruire meglio di loro. Ancora oggi la sua architettura resta sospesa, tra modernità e tradizione locale, ma anche continua a stupirci per la sua grande attualità. Il tempo sembra non aver consumato la lingua semplice e diretta dell’architetto francese, che nasce dall’attenta lettura dell’architettura classica, non sto parlando di linguaggio naturalmente, ma parlo della sapienza costruttiva che ha radici lontane. Questa sapienza Pouillon l’ha descritta in un bellissimo romanzo sul capomastro dell’Abbazia di Thoronet, Le pietre selvagge, nelle cui pagine forse è nascosta la chiave di lettura della sua architettura. Forse per modestia pretendeva di non essere altro che un costruttore poiché disprezzava l’ arrogante vanità degli architetti contemporanei. Per scoprire l’architettura di Pouillon è necessario passare attraverso l’Algeria come hanno fatto due artisti, Leo Fabrizio e Daphne Bengoa . Un viaggio nell’anima della città, una rilettura per immagini, luoghi e storie di persone che definisce una corrispondenza precisa tra l’architettura e la città, senza dimenticare gli uomini che vivono quotidianamente gli spazi. Un racconto dell’architettura di Pouillon fatto per immagini. In Algeria Leo Fabrizio ha scoperto una realtà diversa, rispetto a quella che ci restituisce la storia: “nelle case popolari che ho visitato, tutti, vecchi e giovani, ricordano due nomi: quello di Pouillon e quello del sindaco Jacques Chevallier che gli commissionò gli edifici, alcuni dei quali risalgono agli anni ’50”. Poullion ha avuto la capacità di pensare l’architettura sempre in relazione allo spazio urbano che la ospita e a quello che gli edifici generano, una cosa poco comune nell’architettura del suo tempo abituata a rispondere solo ad esigenze normative. Questa inclinazione si è tradotta in figure urbane semplici, dalle forme regolari facilmente riconoscibili, ricollegabili a certe grandi composizioni tradizionali; un’architettura solida, fatta di tecniche consolidate e soluzioni conosciute, ma sempre reinveste a costruire un altro testo. Avevamo messo gli uomini ad abitare in un monumento, realizzare un monumento esclusivamente di abitazioni e tutt’altro che scontato scrive Poullion riguardo al celebre Climat de France ad Algeri, una vera e propria città nella città. La riproduzione di alloggi è sempre completata da spazi in grado di affermare non solo l’ individualità ma, al contrario, luoghi capaci di entrare nella memoria collettiva come spiega il grande colonnato della piazza delle 200 colonne. Il libro è fatto dalle foto di architettura di Fabrizio che cercano di entrare nello spazio per descriverlo anche quando lo ritraggono dall’esterno, fotografie senza abitanti per potersi coniugare con quelle di Daphné Bengoa che invece ritraggono le persone e nelle quali l’architettura è sfondo e racconto della vita di tutti giorni. Bengoa infatti ha scelto di introdurre lo spettatore, non dentro le case ma dentro la vita degli abitanti. “Nonostante ogni conversazione iniziasse con lunghe descrizioni riguardo i precedenti arrangiamenti delle stanze, i tipi di materiali o le modifiche degli spazi nel tempo, rapidamente le mie interlocutrici passavano ai ricordi di famiglia e alle preoccupazioni personali. Inoltre, anche se la maggior parte di loro rimpiangeva la mancanza di investimenti per mantenere gli edifici in buono stato, tutte ripetevano quanto si sentissero attaccate al loro quartiere e preferissero rimanere a vivere lì invece di essere spostate altrove”. Il progetto Fernand Pouillon et l’Algérie: Bâtir à hauteur d’hommes riesce a catturare, nello stesso modo le vite degli abitanti, la vita di un architetto sullo sfondo di una città che è protagonista assoluta di questo libro. Parlando di uomini ed architettura ci siamo infatti dimenticati di dire che questo libro è un atto d’amore per la città di Algeri.
2019
262
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