Urbanistica e fotografia sono entrambe un prodotto del diciannovesimo secolo, quando la citta', assorbendo popolazione proveniente dalle campagne e destinata all'industria, vive una fase di crescita travolgente. Per questo nasce l'urbanistica moderna, intesa come insieme di regole e di pratiche progettuali, di saperi tecnici e poteri amministrativi che si pongono l'obiettivo di governare la citta' e il suo sviluppo, e stabiliscono cosi', oltre al suo funzionamento, anche la sua forma e la sua immagine. La fotografia in quegli stessi anni inizia a costituire un insieme di sguardi rivolto al paesaggio, e in particolare a quello urbano, dandone una rappresentazione che e' sia descrizione oggettiva che interpretazione soggettiva. Poiche' convivono da un secolo e mezzo, e a causa della comune relazione con la citta', le due discipline hanno avuto spesso a che fare. Il rapporto, come tutti i rapporti, e' bidirezionale, e capita a volte che sia stata l'urbanistica a chiedere l'aiuto della fotografia, e che questa lo abbia fatto restituendole informazioni visive che hanno influenzato le pratiche di pianificazione e progettazione. L'urbanistica ha da sempre bisogno di conoscere il territorio su cui deve operare, e per questo la fotografia e' essenziale. Non e' infrequente il caso di incarichi assegnati a fotografi da parte di urbanisti, assessori, progettisti, per effettuare ricognizioni visive su temi o fenomeni specifici di un certo territorio. Altre volte e' successo che la fotografia ha preso dal dibattito sulla citta' le questioni piu' calde e ha cercato di analizzarle con il proprio metodo, con i propri strumenti, il proprio linguaggio, anche senza porsi l'obiettivo di restituire alla fonte la propria interpretazione, ma lasciandola a disposizione di ognuno, divulgandola attraverso canali settoriali e generali: libri, riviste, mostre, pubblicita', tv, cinema, siti web. In questo modo il flusso relazionale si allunga, e passa per l'opinione pubblica prima di ritornare ai centri di esercizio delle decisioni urbanistiche, ma l'interpretazione visiva puo' uscirne rafforzata, perche' validata dall'adesione di molti, piu' partecipata e dunque piu' autorevole ed ascoltata. C'e' poi un terzo modo con cui avviene lo scambio tra le due discipline, quando un autore fotografo, spinto dalle proprie ricerche, dalla propria sensibilita' per il nuovo, per il cambiamento, produce personali visioni della realta' e dei fenomeni che la attraversano, ancora ignoti ai piu' ma gia'  attivi, e forieri, in tempi piu' o meno brevi, di modificazioni anche rilevanti dell'assetto dei luoghi. L'assorbimento di queste visioni e' piu' lento, perche' si tratta di una scoperta, e come ogni scoperta deve essere avvertita, metabolizzata, deve affrontare processi di rigetto, scontrarsi con abitudini, convinzioni antiche, tradizioni interpretative dure da sconfiggere: la fotografia prende allora per mano l'urbanistica, e la conduce sui sentieri gia'  esplorati autonomamente. La realta', come sempre, mostra questi casi in un intrico di mescolanze tra l'uno e l'altro, di percorsi rimasti incompleti, di intenzioni non realizzate; tuttavia, lo scopo di questo studio e' di cercare con la maggior chiarezza possibile quanto ricorrano i diversi casi enunciati, esaminando il periodo dagli anni 1970 ad oggi. Intorno al 1970 cambiano molte cose nelle citta' inizia una fase di espansione che conduce in pochi decenni alla diffusione urbana sul territorio; cambia molto anche il ruolo della fotografia, che lascia il campo del reportage ed entra in quello piu' concettuale tipico delle pratiche artistiche; cambia, soprattutto, la percezione comune della realta', influenzata dal pensiero debole postmoderno e piu' incline a sostituire i grandi principi, le interpretazioni ideologiche, con un'osservazione piu' analitica, a volte anche frammentaria, che perfino dal punto di vista linguistico ha delle innegabili attinenze con il fotogramma, inteso come riduzione e compressione del reale in una sola immagine. Comincia in quegli anni una fase tuttora presente e attiva in cui la fotografia, piu' e meglio di ogni altra pratica artistica e di ogni altro discorso teorico, sembra in grado di influenzare la percezione della realta' urbana, di descriverne problemi e destini, rischi ed urgenze. Sempre piu' frequenti sono le raffigurazioni fotografiche di paesaggi urbani, dove lo sviluppo metropolitano e' rappresentato in tutto il suo lievitare irrefrenabile. Nei capitoli che seguono vogliamo seguire le vicende della fotografia italiana di questi ultimi quarant'anni relazionandole alle interpretazioni diffuse di citta', alle pratiche artistiche, alle teorie e alle politiche urbane che nel frattempo si sviluppano. Il paesaggio urbano c'e', esiste, e' sotto i nostri occhi, ma non sempre sappiamo come leggerlo. La fotografia ci ha aiutato molto in questi ultimi quarant'anni, lo ha fatto piu' di ogni altra disciplina. E' stata in grado di comunicare qualcosa di definitivo, di risolutivo? Ha creato una nuova percezione, e dunque una nuova idea del paesaggio urbano, o si e' limitata a leggerlo secondo gli occhi dei piu' e a restituirlo al mittente cosi' come questo lo voleva vedere? Prima degli anni ‘70 sembra che siano stati gli architetti e gli urbanisti a spingere i fotografi a rispondere a questo genere di domande, mentre oggi pare che sia la fotografia a invitare l'urbanistica a riflettere su se stessa in modo piu' preciso e documentato, chiedendo e spesso ottenendo per se' un ruolo piu' collaborativo e meno subalterno che in passato. Ma e' opportuno dare alla fotografia incarichi precisi, o e' meglio lasciare che sia essa a raccogliere autonomamente i propri temi di indagine? Ci domandiamo se esiste - distinta dalla fotografia di architettura, e da quella di paesaggio - una fotografia di urbanistica, e cioe' un modo di fare uso della fotografia come ricognizione degli ambiti urbani o extraurbani interessati da progetti di riqualificazione e di miglioramento. Ricognizione ha qui il senso di una descrizione che non si limiti a registrare lo stato fisico dei luoghi, ma aspiri a definirne l'identita'. Un concetto che si potrebbe prendere come riferimento molto prossimo e' quello di site-specific in uso nell'arte pubblica, che definisce un progetto artistico in grado di interagire pienamente con il luogo e con le stratificazioni di senso attribuitegli dagli abitanti e dagli utilizzatori. Le immagini scattate per questi obiettivi dovrebbero dunque contribuire a fornire un punto di vista e una riflessione utile per chi deve progettare l'assetto dei luoghi. Con la parola progetto intendiamo uno spettro molto largo di significati tecnici, dalla pianificazione territoriale al progetto urbano, e perfino al progetto di architettura. Comunque sia e a qualunque scala operi, il progetto resta il requisito essenziale di questo tipo di fotografia, nel senso che e' al progetto che essa tende. Per questo la fotografia di architettura ''classica'' non rientra in questa nostra accezione, in quanto registra le forme e lo spazio di un'opera architettonica gia'  realizzata. Le sue pur notevoli capacita' di indagine si collocano all'interno del campo critico, non di quello progettuale: il progetto come percorso ideativo e come realizzazione concreta di un disegno e' gia' avvenuto, la fotografia ne certifica gli esiti. La fotografia urbanistica al contrario e' fotografia per il progetto di architettura, precede l'architettura, indaga le preesistenze, siano esse fisiche, sociali, paesaggistiche. Chi come noi si chiede quanto sia concreta la possibilita' di connettere la fotografia al progetto di trasformazione fisica del territorio, deve per forza di cose vedere come ha operato almeno in questi ultimi anni la committenza pubblica. Ci sono resoconti molto precisi [Valtorta, 2008], leggendo i quali cerchiamo risposta alla domanda se la committenza pubblica garantisce la qualita' della ricerca fotografica, e soprattutto quanto poi ne fa uso, incanalandola verso gli uffici di piano, o nelle sale dei consigli comunali. Contribuendo insomma al progetto di miglioramento del territorio, come si definiva forse fideisticamente oltre vent'anni fa cio' che stava sia in cima che in fondo al processo di pianificazione, cio' che insomma si invocava nei presupposti e si presentava nelle conclusioni dei piani urbanistici [Secchi, 1984]. Roland Barthes sosteneva che ''la veggenza del fotografo non consiste tanto nel vedere quanto nel trovarsi la'''. Questa e' la sua abilita', il succo della sua professione, della sua arte. Se la fotografia decreta notevole cio' che fotografa dice ancora Barthes allora il paesaggio urbano e' diventato notevole anche perche' e' stato fotografato. E dunque, cosa ci comunica questa nuova materia? Percha'© di una nuova materia deve trattarsi, non e' solo un linguaggio, uno stile o una voga, ma si fonde con i processi urbanistici e li condiziona, dopo essere transitata nella sensibilita' della popolazione, orientandola. Occorre pero' ricordare e' sempre il semiologo francese a farlo - che nella foto certamente si vede tutto quel che c'e' da vedere, ma la foto non sa dire cio' che da' a vedere [Barthes, 1980]. Bisogna interpretarla, dunque; aiutarla a parlare. Ne consegue che qualsiasi cosa se ne dice, di quella foto, siamo noi che la diciamo, non la foto. Questa osservazione tende a favorire una co-operazione tra fotografo ed esperti di altre discipline, come e', nel nostro caso, l'urbanista. Ma con quali risultati? Si puo' documentare con certezza qualche caso in cui la fotografia ha convinto un decisore a demolire, costruire, modificare, come conseguenza dell'aver visto quella foto, come presa d'atto del suo messaggio?

L'esperienza della citta': Il paesaggio urbano come sguardo fotografico

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2012-07-11

Abstract

Urbanistica e fotografia sono entrambe un prodotto del diciannovesimo secolo, quando la citta', assorbendo popolazione proveniente dalle campagne e destinata all'industria, vive una fase di crescita travolgente. Per questo nasce l'urbanistica moderna, intesa come insieme di regole e di pratiche progettuali, di saperi tecnici e poteri amministrativi che si pongono l'obiettivo di governare la citta' e il suo sviluppo, e stabiliscono cosi', oltre al suo funzionamento, anche la sua forma e la sua immagine. La fotografia in quegli stessi anni inizia a costituire un insieme di sguardi rivolto al paesaggio, e in particolare a quello urbano, dandone una rappresentazione che e' sia descrizione oggettiva che interpretazione soggettiva. Poiche' convivono da un secolo e mezzo, e a causa della comune relazione con la citta', le due discipline hanno avuto spesso a che fare. Il rapporto, come tutti i rapporti, e' bidirezionale, e capita a volte che sia stata l'urbanistica a chiedere l'aiuto della fotografia, e che questa lo abbia fatto restituendole informazioni visive che hanno influenzato le pratiche di pianificazione e progettazione. L'urbanistica ha da sempre bisogno di conoscere il territorio su cui deve operare, e per questo la fotografia e' essenziale. Non e' infrequente il caso di incarichi assegnati a fotografi da parte di urbanisti, assessori, progettisti, per effettuare ricognizioni visive su temi o fenomeni specifici di un certo territorio. Altre volte e' successo che la fotografia ha preso dal dibattito sulla citta' le questioni piu' calde e ha cercato di analizzarle con il proprio metodo, con i propri strumenti, il proprio linguaggio, anche senza porsi l'obiettivo di restituire alla fonte la propria interpretazione, ma lasciandola a disposizione di ognuno, divulgandola attraverso canali settoriali e generali: libri, riviste, mostre, pubblicita', tv, cinema, siti web. In questo modo il flusso relazionale si allunga, e passa per l'opinione pubblica prima di ritornare ai centri di esercizio delle decisioni urbanistiche, ma l'interpretazione visiva puo' uscirne rafforzata, perche' validata dall'adesione di molti, piu' partecipata e dunque piu' autorevole ed ascoltata. C'e' poi un terzo modo con cui avviene lo scambio tra le due discipline, quando un autore fotografo, spinto dalle proprie ricerche, dalla propria sensibilita' per il nuovo, per il cambiamento, produce personali visioni della realta' e dei fenomeni che la attraversano, ancora ignoti ai piu' ma gia'  attivi, e forieri, in tempi piu' o meno brevi, di modificazioni anche rilevanti dell'assetto dei luoghi. L'assorbimento di queste visioni e' piu' lento, perche' si tratta di una scoperta, e come ogni scoperta deve essere avvertita, metabolizzata, deve affrontare processi di rigetto, scontrarsi con abitudini, convinzioni antiche, tradizioni interpretative dure da sconfiggere: la fotografia prende allora per mano l'urbanistica, e la conduce sui sentieri gia'  esplorati autonomamente. La realta', come sempre, mostra questi casi in un intrico di mescolanze tra l'uno e l'altro, di percorsi rimasti incompleti, di intenzioni non realizzate; tuttavia, lo scopo di questo studio e' di cercare con la maggior chiarezza possibile quanto ricorrano i diversi casi enunciati, esaminando il periodo dagli anni 1970 ad oggi. Intorno al 1970 cambiano molte cose nelle citta' inizia una fase di espansione che conduce in pochi decenni alla diffusione urbana sul territorio; cambia molto anche il ruolo della fotografia, che lascia il campo del reportage ed entra in quello piu' concettuale tipico delle pratiche artistiche; cambia, soprattutto, la percezione comune della realta', influenzata dal pensiero debole postmoderno e piu' incline a sostituire i grandi principi, le interpretazioni ideologiche, con un'osservazione piu' analitica, a volte anche frammentaria, che perfino dal punto di vista linguistico ha delle innegabili attinenze con il fotogramma, inteso come riduzione e compressione del reale in una sola immagine. Comincia in quegli anni una fase tuttora presente e attiva in cui la fotografia, piu' e meglio di ogni altra pratica artistica e di ogni altro discorso teorico, sembra in grado di influenzare la percezione della realta' urbana, di descriverne problemi e destini, rischi ed urgenze. Sempre piu' frequenti sono le raffigurazioni fotografiche di paesaggi urbani, dove lo sviluppo metropolitano e' rappresentato in tutto il suo lievitare irrefrenabile. Nei capitoli che seguono vogliamo seguire le vicende della fotografia italiana di questi ultimi quarant'anni relazionandole alle interpretazioni diffuse di citta', alle pratiche artistiche, alle teorie e alle politiche urbane che nel frattempo si sviluppano. Il paesaggio urbano c'e', esiste, e' sotto i nostri occhi, ma non sempre sappiamo come leggerlo. La fotografia ci ha aiutato molto in questi ultimi quarant'anni, lo ha fatto piu' di ogni altra disciplina. E' stata in grado di comunicare qualcosa di definitivo, di risolutivo? Ha creato una nuova percezione, e dunque una nuova idea del paesaggio urbano, o si e' limitata a leggerlo secondo gli occhi dei piu' e a restituirlo al mittente cosi' come questo lo voleva vedere? Prima degli anni ‘70 sembra che siano stati gli architetti e gli urbanisti a spingere i fotografi a rispondere a questo genere di domande, mentre oggi pare che sia la fotografia a invitare l'urbanistica a riflettere su se stessa in modo piu' preciso e documentato, chiedendo e spesso ottenendo per se' un ruolo piu' collaborativo e meno subalterno che in passato. Ma e' opportuno dare alla fotografia incarichi precisi, o e' meglio lasciare che sia essa a raccogliere autonomamente i propri temi di indagine? Ci domandiamo se esiste - distinta dalla fotografia di architettura, e da quella di paesaggio - una fotografia di urbanistica, e cioe' un modo di fare uso della fotografia come ricognizione degli ambiti urbani o extraurbani interessati da progetti di riqualificazione e di miglioramento. Ricognizione ha qui il senso di una descrizione che non si limiti a registrare lo stato fisico dei luoghi, ma aspiri a definirne l'identita'. Un concetto che si potrebbe prendere come riferimento molto prossimo e' quello di site-specific in uso nell'arte pubblica, che definisce un progetto artistico in grado di interagire pienamente con il luogo e con le stratificazioni di senso attribuitegli dagli abitanti e dagli utilizzatori. Le immagini scattate per questi obiettivi dovrebbero dunque contribuire a fornire un punto di vista e una riflessione utile per chi deve progettare l'assetto dei luoghi. Con la parola progetto intendiamo uno spettro molto largo di significati tecnici, dalla pianificazione territoriale al progetto urbano, e perfino al progetto di architettura. Comunque sia e a qualunque scala operi, il progetto resta il requisito essenziale di questo tipo di fotografia, nel senso che e' al progetto che essa tende. Per questo la fotografia di architettura ''classica'' non rientra in questa nostra accezione, in quanto registra le forme e lo spazio di un'opera architettonica gia'  realizzata. Le sue pur notevoli capacita' di indagine si collocano all'interno del campo critico, non di quello progettuale: il progetto come percorso ideativo e come realizzazione concreta di un disegno e' gia' avvenuto, la fotografia ne certifica gli esiti. La fotografia urbanistica al contrario e' fotografia per il progetto di architettura, precede l'architettura, indaga le preesistenze, siano esse fisiche, sociali, paesaggistiche. Chi come noi si chiede quanto sia concreta la possibilita' di connettere la fotografia al progetto di trasformazione fisica del territorio, deve per forza di cose vedere come ha operato almeno in questi ultimi anni la committenza pubblica. Ci sono resoconti molto precisi [Valtorta, 2008], leggendo i quali cerchiamo risposta alla domanda se la committenza pubblica garantisce la qualita' della ricerca fotografica, e soprattutto quanto poi ne fa uso, incanalandola verso gli uffici di piano, o nelle sale dei consigli comunali. Contribuendo insomma al progetto di miglioramento del territorio, come si definiva forse fideisticamente oltre vent'anni fa cio' che stava sia in cima che in fondo al processo di pianificazione, cio' che insomma si invocava nei presupposti e si presentava nelle conclusioni dei piani urbanistici [Secchi, 1984]. Roland Barthes sosteneva che ''la veggenza del fotografo non consiste tanto nel vedere quanto nel trovarsi la'''. Questa e' la sua abilita', il succo della sua professione, della sua arte. Se la fotografia decreta notevole cio' che fotografa dice ancora Barthes allora il paesaggio urbano e' diventato notevole anche perche' e' stato fotografato. E dunque, cosa ci comunica questa nuova materia? Percha'© di una nuova materia deve trattarsi, non e' solo un linguaggio, uno stile o una voga, ma si fonde con i processi urbanistici e li condiziona, dopo essere transitata nella sensibilita' della popolazione, orientandola. Occorre pero' ricordare e' sempre il semiologo francese a farlo - che nella foto certamente si vede tutto quel che c'e' da vedere, ma la foto non sa dire cio' che da' a vedere [Barthes, 1980]. Bisogna interpretarla, dunque; aiutarla a parlare. Ne consegue che qualsiasi cosa se ne dice, di quella foto, siamo noi che la diciamo, non la foto. Questa osservazione tende a favorire una co-operazione tra fotografo ed esperti di altre discipline, come e', nel nostro caso, l'urbanista. Ma con quali risultati? Si puo' documentare con certezza qualche caso in cui la fotografia ha convinto un decisore a demolire, costruire, modificare, come conseguenza dell'aver visto quella foto, come presa d'atto del suo messaggio?
11-lug-2012
Orlandi, Piero
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11581/401783
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