Il presente lavoro di ricerca si prefigge la finalita' di studiare le dinamiche relazionali che contraddistinguono l'interazione all'interno della comunita' cinese in Italia, nonche' i rapporti di relazione di questa con la popolazione autoctona e cio' considerata l'importanza che le tradizioni e la cultura assumono nel connotare il fattore identitario dei gruppi migranti nei luoghi d'accoglienza. Nell'affrontare la tematica concernente le migrazioni e nello specifico le peculiarita' riguardanti i migranti cinesi che in Italia hanno dato vita a comunita' etniche ''chiuse'', exclave, e' stato ritenuto doveroso cercare di indagare e verificare quali siano stati i prodromi, cioe' a dire le condizioni culturali, sociali ed economiche che hanno reso possibile il concretarsi di una tale realta', specialmente in talune regioni. La crisi del sistema economico Occidentale, come si vedra', ha assunto, in questo fenomeno, un ruolo preminente. Si evidenziera', ad esempio, il fatto che il consolidarsi dell'utilizzo di metodi di pagamento quali il credito al consumo, abbia favorito anche un mutamento delle istanze sociali, in termini di beni da possedere e consumare. Il cliente e l'utilizzatore di beni si sono trasformati in consumatori. Cosa'¬ facendo essi hanno contribuito a sviluppare e consolidare un modello di mercato nel quale viene consentita la produzione di beni di bassa qualita' ma in quantita' tali da far si' che la domanda non rimanga mai disattesa, anche se cio' ha incentivato, nelle zone di penetrazione economica, lo sfruttamento del lavoratore (spesso clandestino) e il suo asservimento all'impresa. Un processo di identificazione usuale in Cina. La ricerca analizzera', dunque, la quotidianita' della vita all'interno della comunita' cinese in Italia con l'intento di rilevare quelle semplici ma tipiche condotte (usuali e valide per il cinese in Cina) qui ritenute extralegali, illegali o criminali. Comportamenti che la perdurante indifferenza di molte istituzioni - il cui compito sarebbe dovuto essere quello di sviluppare politiche sociali d'integrazione e d'inclusione tese ad armonizzare le diverse culture che s'incontrano sul territorio senza perderne il controllo ha consentito si radicassero, dando luogo a un fertile terreno di coltura sul quale si e' assistito alla strutturazione e al consolidamento di situazioni di alterita', di realta' autonome legibus solute. [...] Nel far cio' non sara' omesso di considerare come l'adozione di questa policy disomogenea, frammentaria, emergenziale e alterna si sia rivelata, in molti casi, inadeguata nei confronti della trattazione del fenomeno migratorio nella sua globalita'. Lo svolgimento di un approfondimento delle tematiche dal carattere storico, economico e sociale consentira' di comprendere perche', dal 1984 a oggi, alcune regioni italiane non esclusivamente quelle economicamente pia'¹ prosperose, produttive e avanzate dal punto di vista artigianale e industriale - invece di altre, si siano rivelate in grado di attrarre investimenti e forza lavoro provenienti dalla Cina e come nei siti prescelti siano state fondate le Tong : vere e proprie isole etniche in tutto autoreferenziali. La medesima riflessione, poi, evidenziera' come la segretezza nell'agire, il silenzio e il basso profilo tenuti dagli appartenenti alla comunita'  cinese negli anni, rispetto agli appartenenti ad altre comunita'  di migranti (che per le loro condotte hanno, invece, attirato l'attenzione degli organismi di vigilanza e controllo sociale nonche' dei media), abbia origini risalenti nella storia di quel popolo e si siano rivelati strumentali, connotanti e vincenti. Divenendo determinanti nel dar luogo all'insorgere di importanti derive in materia di ordine pubblico e di sicurezza pubblica gli usi patrii replicati nella diaspora hanno un ruolo importantissimo. Si vedra', dunque, quanto l'accondiscendenza nei confronti di talune condotte, in principio ignorate e sottovalutate da parte delle Istituzioni, abbia ingenerato il convincimento negli appartenenti al gruppo sino-migrato che esistesse la possibilita'  di creare, o mantenere, una condizione di alterita' tipica del paese di provenienza alla cui base esiste un'arcaica, tradizionale ma semplice e solida struttura di comportamenti - intrecciati e solidalmente legati tra loro - sui quali poggia, oggi, l'isolamento spontaneo delle tong in Italia. Per addivenire alla spiegazione di una tale esperienza domestica che vede lo stato e le sue strutture in seconda posizione rispetto alla centralita' e alle esigenze della comunita' a cui il soggetto appartiene, e' stato riservato un capitolo di natura eminentemente storica nel quale e' stato compiuto un excursus sull'origine dell'associazionismo (segreto) cinese in patria e sul mantenimento di tale habitus anche nelle migrazioni che si sono succedute negli ultimi secoli. Da tale contesto emergeranno peculiarita' utili a comprendere come attraverso la consueta pratica dell'adesione a un'Associazione segreta, il singolo pervenga alla propria validazione in seno al gruppo nazionale. [...] In alcuni casi queste comunita' ''chiuse'' sono diventate talmente autosufficienti e autoreferenziali da costituire, in tutto e per tutto, la replica del modello culturale lasciato dal migrante nella madre patria. Lo strutturarsi di questa replica e' stato permesso, e talvolta incoraggiato, col fine di far sentire accettate, integrate e rispettate le giovani comunita'  etnico-linguistiche. L'impostazione di tale politica di accoglienza e dell'integrazione e' divenuta, pero', la prassi attraverso la quale il limite tra cio' che e' consentito e cio' che non lo e' ha avuto una progressiva dilatazione, uno spostamento ''in avanti'', sino a far si' che nel migrante si compisse quella perniciosa confusione tra il lecito e l'illecito che lo ha portato ad innescare frizioni con l'autoctono. Nel corso della ricerca e' evidente l'importanza di analizzare perche' questo procedimento sia avvenuto nella comunita' cinese che vive in Italia secondo regole proprie alle quali il ''sistema Cina'' per piu' versi fa riferimento. Dall'esperienza sul campo in Italia emerge la responsabilita', in particolar modo degli organi amministrativi e di polizia che hanno permesso forse con la presunzione che in virtu' di una naturale spinta osmotica tutto si sarebbe regolato da se' - il consolidamento di questi comportamenti di tal che gli usi giunti insieme ai migranti sono divenute delle consuetudini. Se tale politica di accoglienza e di integrazione e' apparsa valida alle autorita', sollevate dall'onere segnatamente economico finanziario - di interventi di strutturazione, agli occhi degli autoctoni, invece, tutto cio' si e' palesato come la concretizzazione di una sperequazione di trattamento di fronte alla legge, come la dismissione da parte delle istituzioni di potesta' tipiche. Questa percezione non sempre nei fatti riscontrabile - ha talvolta esasperato gli animi e condotto alla costituzione di compagini politiche che, assumendo su di se' l'onere di un'asserita tutela degli ''interessi domestici'' hanno veicolato messaggi razzisti e allarmistici, fomentando l'intolleranza e la xenofoba'­a. L'intangibile liberta'  di esprimere la propria identita' ha fatto, dunque, si' che i gruppi nazionali migranti interpretassero un tale segno di ''civilta' politica del Paese ospitante'' come l'avallo di ogni pratica, anche se in evidente contrasto con le norme vigenti nello Stato italiano. L'Ente pubblico, ritenendo che questa comunita' di migranti si sarebbe allineata e integrata seguendo l'orientamento della popolazione autoctona, cosi' come altre hanno fatto nel tempo, non ha, invece, tenuto conto della specificita' del fenomeno ignorando di prendere a paradigma le pregresse e analoghe esperienze statunitensi e francesi. In tale prospettiva e' stato sottovalutato che all'interno di queste ''isole di Cina in Italia'', il fattore extralegale , da principio ''tollerato'', e' divenuto la norma. In alcuni casi, addirittura, si e' assistito alla validazione del crimine che, trasformando le dinamiche relazionali interne al gruppo nazionale cinese, ha consentito che la vessazione si trasformasse in sfruttamento della persona e conseguentemente in quella nuova forma di schiavitu' che l'ONU, nel Protocollo di Palermo del 2001, definisce chiaramente trafficking of human beings. Il lavoro di ricerca, poi, avra' cura di porre in evidenza quale importanza abbia assunto, nella percezione del fenomeno migratorio cinese, il ruolo dei media, che non sempre hanno diffuso informazioni in modo imparziale e piuttosto hanno, in taluni casi, favorito il radicamento di una errata percezione della realta'. Sebbene la presenza dei cinesi in Italia sia, ancora oggi, poco conosciuta e poco conoscibile, cio' non dovrebbe, di per se' solo, e con l'appoggio degli strumenti di informazione di massa, alimentare lo strutturarsi di stereotipi o il consolidarsi di pregiudizi: i cinesi non muoiono mai. Ma e' cio' che accade. Il presente lavoro di ricerca evidenzia, altresi', le difficolta' organizzative degli operatori e dei referenti locali di istituzioni centrali di vigilanza e controllo territoriale per i quali adempiere al proprio ufficio spesso diventa materia improba e frustrante. La formazione delle Tong ha implicato la formazione di gruppi criminali che gestiscono, piu' o meno violentemente, i rapporti di relazione all'interno di esse. Le interviste condotte ai funzionari, contattati per corroborare i dati estrapolati dalla ricerca teorica, saranno una testimonianza tangibile di come spesso sia l'iniziativa dei singoli a porre rimedio alla disarticolazione di una struttura centrale lontana dalle problematiche del territorio. Gli interpreti, poi, emergeranno come un vero e proprio ponte culturale tra chi migra e chi accoglie. In tale contesto, pero', emergera' anche come alcuni Enti locali e regioni abbiano colto appieno il valore aggiunto e il significato intrinseco della collaborazione interdisciplinare per materia e dell'integrazione delle competenze professionali degli operatori nella gestione e nel controllo degli insediamenti umani, delle imprese e delle attivita' economiche piu' in generale, operanti nei rispettivi ambiti territoriali.

Legalita'  e lavoro nella diaspora cinese in Italia

DELLA TORRE di VALSASSINA, FEBO ULDERICO
2014-12-03

Abstract

Il presente lavoro di ricerca si prefigge la finalita' di studiare le dinamiche relazionali che contraddistinguono l'interazione all'interno della comunita' cinese in Italia, nonche' i rapporti di relazione di questa con la popolazione autoctona e cio' considerata l'importanza che le tradizioni e la cultura assumono nel connotare il fattore identitario dei gruppi migranti nei luoghi d'accoglienza. Nell'affrontare la tematica concernente le migrazioni e nello specifico le peculiarita' riguardanti i migranti cinesi che in Italia hanno dato vita a comunita' etniche ''chiuse'', exclave, e' stato ritenuto doveroso cercare di indagare e verificare quali siano stati i prodromi, cioe' a dire le condizioni culturali, sociali ed economiche che hanno reso possibile il concretarsi di una tale realta', specialmente in talune regioni. La crisi del sistema economico Occidentale, come si vedra', ha assunto, in questo fenomeno, un ruolo preminente. Si evidenziera', ad esempio, il fatto che il consolidarsi dell'utilizzo di metodi di pagamento quali il credito al consumo, abbia favorito anche un mutamento delle istanze sociali, in termini di beni da possedere e consumare. Il cliente e l'utilizzatore di beni si sono trasformati in consumatori. Cosa'¬ facendo essi hanno contribuito a sviluppare e consolidare un modello di mercato nel quale viene consentita la produzione di beni di bassa qualita' ma in quantita' tali da far si' che la domanda non rimanga mai disattesa, anche se cio' ha incentivato, nelle zone di penetrazione economica, lo sfruttamento del lavoratore (spesso clandestino) e il suo asservimento all'impresa. Un processo di identificazione usuale in Cina. La ricerca analizzera', dunque, la quotidianita' della vita all'interno della comunita' cinese in Italia con l'intento di rilevare quelle semplici ma tipiche condotte (usuali e valide per il cinese in Cina) qui ritenute extralegali, illegali o criminali. Comportamenti che la perdurante indifferenza di molte istituzioni - il cui compito sarebbe dovuto essere quello di sviluppare politiche sociali d'integrazione e d'inclusione tese ad armonizzare le diverse culture che s'incontrano sul territorio senza perderne il controllo ha consentito si radicassero, dando luogo a un fertile terreno di coltura sul quale si e' assistito alla strutturazione e al consolidamento di situazioni di alterita', di realta' autonome legibus solute. [...] Nel far cio' non sara' omesso di considerare come l'adozione di questa policy disomogenea, frammentaria, emergenziale e alterna si sia rivelata, in molti casi, inadeguata nei confronti della trattazione del fenomeno migratorio nella sua globalita'. Lo svolgimento di un approfondimento delle tematiche dal carattere storico, economico e sociale consentira' di comprendere perche', dal 1984 a oggi, alcune regioni italiane non esclusivamente quelle economicamente pia'¹ prosperose, produttive e avanzate dal punto di vista artigianale e industriale - invece di altre, si siano rivelate in grado di attrarre investimenti e forza lavoro provenienti dalla Cina e come nei siti prescelti siano state fondate le Tong : vere e proprie isole etniche in tutto autoreferenziali. La medesima riflessione, poi, evidenziera' come la segretezza nell'agire, il silenzio e il basso profilo tenuti dagli appartenenti alla comunita'  cinese negli anni, rispetto agli appartenenti ad altre comunita'  di migranti (che per le loro condotte hanno, invece, attirato l'attenzione degli organismi di vigilanza e controllo sociale nonche' dei media), abbia origini risalenti nella storia di quel popolo e si siano rivelati strumentali, connotanti e vincenti. Divenendo determinanti nel dar luogo all'insorgere di importanti derive in materia di ordine pubblico e di sicurezza pubblica gli usi patrii replicati nella diaspora hanno un ruolo importantissimo. Si vedra', dunque, quanto l'accondiscendenza nei confronti di talune condotte, in principio ignorate e sottovalutate da parte delle Istituzioni, abbia ingenerato il convincimento negli appartenenti al gruppo sino-migrato che esistesse la possibilita'  di creare, o mantenere, una condizione di alterita' tipica del paese di provenienza alla cui base esiste un'arcaica, tradizionale ma semplice e solida struttura di comportamenti - intrecciati e solidalmente legati tra loro - sui quali poggia, oggi, l'isolamento spontaneo delle tong in Italia. Per addivenire alla spiegazione di una tale esperienza domestica che vede lo stato e le sue strutture in seconda posizione rispetto alla centralita' e alle esigenze della comunita' a cui il soggetto appartiene, e' stato riservato un capitolo di natura eminentemente storica nel quale e' stato compiuto un excursus sull'origine dell'associazionismo (segreto) cinese in patria e sul mantenimento di tale habitus anche nelle migrazioni che si sono succedute negli ultimi secoli. Da tale contesto emergeranno peculiarita' utili a comprendere come attraverso la consueta pratica dell'adesione a un'Associazione segreta, il singolo pervenga alla propria validazione in seno al gruppo nazionale. [...] In alcuni casi queste comunita' ''chiuse'' sono diventate talmente autosufficienti e autoreferenziali da costituire, in tutto e per tutto, la replica del modello culturale lasciato dal migrante nella madre patria. Lo strutturarsi di questa replica e' stato permesso, e talvolta incoraggiato, col fine di far sentire accettate, integrate e rispettate le giovani comunita'  etnico-linguistiche. L'impostazione di tale politica di accoglienza e dell'integrazione e' divenuta, pero', la prassi attraverso la quale il limite tra cio' che e' consentito e cio' che non lo e' ha avuto una progressiva dilatazione, uno spostamento ''in avanti'', sino a far si' che nel migrante si compisse quella perniciosa confusione tra il lecito e l'illecito che lo ha portato ad innescare frizioni con l'autoctono. Nel corso della ricerca e' evidente l'importanza di analizzare perche' questo procedimento sia avvenuto nella comunita' cinese che vive in Italia secondo regole proprie alle quali il ''sistema Cina'' per piu' versi fa riferimento. Dall'esperienza sul campo in Italia emerge la responsabilita', in particolar modo degli organi amministrativi e di polizia che hanno permesso forse con la presunzione che in virtu' di una naturale spinta osmotica tutto si sarebbe regolato da se' - il consolidamento di questi comportamenti di tal che gli usi giunti insieme ai migranti sono divenute delle consuetudini. Se tale politica di accoglienza e di integrazione e' apparsa valida alle autorita', sollevate dall'onere segnatamente economico finanziario - di interventi di strutturazione, agli occhi degli autoctoni, invece, tutto cio' si e' palesato come la concretizzazione di una sperequazione di trattamento di fronte alla legge, come la dismissione da parte delle istituzioni di potesta' tipiche. Questa percezione non sempre nei fatti riscontrabile - ha talvolta esasperato gli animi e condotto alla costituzione di compagini politiche che, assumendo su di se' l'onere di un'asserita tutela degli ''interessi domestici'' hanno veicolato messaggi razzisti e allarmistici, fomentando l'intolleranza e la xenofoba'­a. L'intangibile liberta'  di esprimere la propria identita' ha fatto, dunque, si' che i gruppi nazionali migranti interpretassero un tale segno di ''civilta' politica del Paese ospitante'' come l'avallo di ogni pratica, anche se in evidente contrasto con le norme vigenti nello Stato italiano. L'Ente pubblico, ritenendo che questa comunita' di migranti si sarebbe allineata e integrata seguendo l'orientamento della popolazione autoctona, cosi' come altre hanno fatto nel tempo, non ha, invece, tenuto conto della specificita' del fenomeno ignorando di prendere a paradigma le pregresse e analoghe esperienze statunitensi e francesi. In tale prospettiva e' stato sottovalutato che all'interno di queste ''isole di Cina in Italia'', il fattore extralegale , da principio ''tollerato'', e' divenuto la norma. In alcuni casi, addirittura, si e' assistito alla validazione del crimine che, trasformando le dinamiche relazionali interne al gruppo nazionale cinese, ha consentito che la vessazione si trasformasse in sfruttamento della persona e conseguentemente in quella nuova forma di schiavitu' che l'ONU, nel Protocollo di Palermo del 2001, definisce chiaramente trafficking of human beings. Il lavoro di ricerca, poi, avra' cura di porre in evidenza quale importanza abbia assunto, nella percezione del fenomeno migratorio cinese, il ruolo dei media, che non sempre hanno diffuso informazioni in modo imparziale e piuttosto hanno, in taluni casi, favorito il radicamento di una errata percezione della realta'. Sebbene la presenza dei cinesi in Italia sia, ancora oggi, poco conosciuta e poco conoscibile, cio' non dovrebbe, di per se' solo, e con l'appoggio degli strumenti di informazione di massa, alimentare lo strutturarsi di stereotipi o il consolidarsi di pregiudizi: i cinesi non muoiono mai. Ma e' cio' che accade. Il presente lavoro di ricerca evidenzia, altresi', le difficolta' organizzative degli operatori e dei referenti locali di istituzioni centrali di vigilanza e controllo territoriale per i quali adempiere al proprio ufficio spesso diventa materia improba e frustrante. La formazione delle Tong ha implicato la formazione di gruppi criminali che gestiscono, piu' o meno violentemente, i rapporti di relazione all'interno di esse. Le interviste condotte ai funzionari, contattati per corroborare i dati estrapolati dalla ricerca teorica, saranno una testimonianza tangibile di come spesso sia l'iniziativa dei singoli a porre rimedio alla disarticolazione di una struttura centrale lontana dalle problematiche del territorio. Gli interpreti, poi, emergeranno come un vero e proprio ponte culturale tra chi migra e chi accoglie. In tale contesto, pero', emergera' anche come alcuni Enti locali e regioni abbiano colto appieno il valore aggiunto e il significato intrinseco della collaborazione interdisciplinare per materia e dell'integrazione delle competenze professionali degli operatori nella gestione e nel controllo degli insediamenti umani, delle imprese e delle attivita' economiche piu' in generale, operanti nei rispettivi ambiti territoriali.
3-dic-2014
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11581/401742
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