Il rapido moltiplicarsi di recenti scoperte dei resti, la prima, di circa 215 bambini in una fossa comune sul terreno della ex Kamloops Indian Residential School, nello Stato di British Columbia in Canada, la seconda, di 761 persone, principalmente bambini indigeni, nel sito di una ex scuola nella provincia del Saskatchewan, e da ultimo, di 182 nuove tombe anonime nel terreno di una ex scuola per nativi gestita dalla Chiesa di St. Eugene vicino a Cranbrook, anch’essa nella Columbia Britannica, ripropongono, con scottante urgenza, la necessità di riconsiderare, da un punto di vista giuridico, la fattispecie autonoma di “genocidio culturale” (locuzione coniata da Raphael Lemkin nella sua opera Axis Rule in Occupied Europe del 1944) o “etnocidio” (secondo la dizione forgiata da Robert Jaulin in La paix blanche: Introduction à l’ethnocide del 1970). La Truth and Reconciliation Commission, creata nel 2006 e presieduta da Murray Sinclair – il primo nativo Ojibwa diventato giudice dello Stato di Manitoba – ha indicato nel suo rapporto finale 94 raccomandazioni. Fra queste, spicca l’invito al governo canadese, invito a tutt’oggi non accolto, ad adottare la Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni delle Nazioni Unite del 2007, come base giuridica (per quanto questa sia un atto di soft law, ossia non dotato in sé di poteri vincolanti) per un nuovo percorso di dialogo. Anzi, va sottolineato come il Canada, sia uno dei solamente quattro Paesi a votare contro l’adozione della Dichiarazione in seno all’Assemblea Generale (unitamente a USA, Nuova Zelanda e Australia). Purtuttavia, né la summenzionata Dichiarazione, né la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre del 1948, sanciscono e sanzionano il genocidio culturale. Il working paper che si è presentato in occasione del Convegno "Canada 2021: tradizioni e innovazione sociale", che si è tenuto a Bologna dal 2 al 4 dicembre 2021 sotto l'egida dell'Associazione italiana di studi canadesi, si è concentrato sull’analisi, in una prospettiva gius-internazionalistica, circa la (mancata) tutela che si è ritenuto di (non) dover accordare al legame tra un popolo e il suo patrimonio culturale, auspicando che il Canada, per le sue peculiari caratteristiche di Stato precursore della cittadinanza multiculturale, possa farsi attivo promotore nei consessi istituzionali intergovernativi di interventi fattivi che colmino (finalmente) la lacuna juris del genocidio culturale, posto che a tutt’oggi la posizione prevalente ritiene che non possa configurarsi il crimine di genocidio qualora siano perpetrate condotte che, pur minando la cultura di uno dei gruppi protetti di cui si intende perseguire la distruzione, prescinda però da forme di aggressione fisica o biologica nei confronti dei suoi membri.
L’incompiuta genesi della fattispecie autonoma di “genocidio culturale” alla prova delle scuole residenziali canadesi
Agostina Latino
2021-01-01
Abstract
Il rapido moltiplicarsi di recenti scoperte dei resti, la prima, di circa 215 bambini in una fossa comune sul terreno della ex Kamloops Indian Residential School, nello Stato di British Columbia in Canada, la seconda, di 761 persone, principalmente bambini indigeni, nel sito di una ex scuola nella provincia del Saskatchewan, e da ultimo, di 182 nuove tombe anonime nel terreno di una ex scuola per nativi gestita dalla Chiesa di St. Eugene vicino a Cranbrook, anch’essa nella Columbia Britannica, ripropongono, con scottante urgenza, la necessità di riconsiderare, da un punto di vista giuridico, la fattispecie autonoma di “genocidio culturale” (locuzione coniata da Raphael Lemkin nella sua opera Axis Rule in Occupied Europe del 1944) o “etnocidio” (secondo la dizione forgiata da Robert Jaulin in La paix blanche: Introduction à l’ethnocide del 1970). La Truth and Reconciliation Commission, creata nel 2006 e presieduta da Murray Sinclair – il primo nativo Ojibwa diventato giudice dello Stato di Manitoba – ha indicato nel suo rapporto finale 94 raccomandazioni. Fra queste, spicca l’invito al governo canadese, invito a tutt’oggi non accolto, ad adottare la Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni delle Nazioni Unite del 2007, come base giuridica (per quanto questa sia un atto di soft law, ossia non dotato in sé di poteri vincolanti) per un nuovo percorso di dialogo. Anzi, va sottolineato come il Canada, sia uno dei solamente quattro Paesi a votare contro l’adozione della Dichiarazione in seno all’Assemblea Generale (unitamente a USA, Nuova Zelanda e Australia). Purtuttavia, né la summenzionata Dichiarazione, né la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre del 1948, sanciscono e sanzionano il genocidio culturale. Il working paper che si è presentato in occasione del Convegno "Canada 2021: tradizioni e innovazione sociale", che si è tenuto a Bologna dal 2 al 4 dicembre 2021 sotto l'egida dell'Associazione italiana di studi canadesi, si è concentrato sull’analisi, in una prospettiva gius-internazionalistica, circa la (mancata) tutela che si è ritenuto di (non) dover accordare al legame tra un popolo e il suo patrimonio culturale, auspicando che il Canada, per le sue peculiari caratteristiche di Stato precursore della cittadinanza multiculturale, possa farsi attivo promotore nei consessi istituzionali intergovernativi di interventi fattivi che colmino (finalmente) la lacuna juris del genocidio culturale, posto che a tutt’oggi la posizione prevalente ritiene che non possa configurarsi il crimine di genocidio qualora siano perpetrate condotte che, pur minando la cultura di uno dei gruppi protetti di cui si intende perseguire la distruzione, prescinda però da forme di aggressione fisica o biologica nei confronti dei suoi membri.File | Dimensione | Formato | |
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