Con il lemma kafālah (in arabo: ةلافك) si fa riferimento – principalmente – all’istituto islamico di tutela dei minori che si trovano in stato di abbandono. In virtù della kafālah un soggetto, denominato kafil, si impegna a curare, educare e mantenere un makful, ossia un minore abbandonato, sino al raggiungimento della maggiore età, senza, tuttavia, che il makful entri giuridicamente a far parte della famiglia del kafil. Tale istituto rappresenta una sorta di confluenza di due precetti coranici, l’uno che vieta l’adozione (in quanto, nell’Islam, la famiglia, espressione della volontà divina, trae origine esclusivamente dal rapporto di filiazione biologica), l’altro che pone l’obbligo di aiutare i bisognosi e gli orfani. Di tal guisa la kafālah costituisce l’unico strumento a protezione dei minori che si trovano in stato di abbandono o che fanno parte di una famiglia d’origine che versa in condizioni di estremo bisogno economico, certo, ma soprattutto deficiente da un punto di vista strutturale e formativo, sicché è gravemente inadeguata a crescere adeguatamente dei fanciulli. Nel contributo presentato, si è proceduto in primo luogo a una breve ricostruzione delle origini storiche e delle diverse declinazioni giuridiche della kafālah, posto che questa possa scaturire sia da un contratto (kafālah puramente «convenzionale» o «negoziale»), contratto che, in un momento successivo, può essere omologato da un notaio (kafālah «negoziale omologata» o «notarile»), sia da un provvedimento dell’Autorità giudiziaria emanato in esito a una procedura volta all’accertamento dell’idoneità del/i kafil (persona singola o coppia di coniugi) a prendersi cura di un minore preventivamente dichiarato “abbandonato” dal competente Tribunale per i Minorenni (kafālah «giudiziale», detta anche «pubblicistica»). In secondo luogo, posto che la kafālah è un istituto giuridico codificato tra le forme di protezione dei minori (specificamente dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 e dalla Convenzione dell’Aja sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori del 1996) si è dato conto specificamente dell’evoluzione della prassi italiana quanto all’applicazione concreta di siffatto istituto, alla luce del fatto che le leggi di ratifica delle summenzionate Convenzioni (rispettivamente l. 176/1991 e l. 101/2015) hanno lasciato insoluta la questione dell’efficacia giuridica di tale istituto nel nostro ordinamento, nulla disponendo quanto alle modalità con cui darne effettivo riconoscimento. Proprio in ragione dell’esigenza di dare continuità alla tutela dei minori e di fornire una risposta all’inevitabile compenetrazione tra ordinamenti giuridici diversi, i molteplici interventi dei giudici di merito e di legittimità sono volti a dare una risposta, in particolare, a due interrogativi: innanzitutto, se l’interpretazione costituzionalmente orientata e rispettosa dei principî affermati dalle norme sovranazionali, utilizzando il criterio guida stabilito dall’art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, ossia l’interesse superiore del minore, possa estendersi fino a ricomprendere anche i ricongiungimenti familiari che si fondano sulla kafālah esclusivamente negoziale, e, a cascata, secondo quali criteri il giudice italiano possa esprimere un giudizio di non contrarietà all’ordinamento interno e di coerenza con il best interest of child. L’analisi dell’ondivaga prassi delle istanze giudiziarie italiane è stata condotta al fine di verificare se l’istituto della kafālah possa oggi dirsi dotato di efficacia diretta nel nostro ordinamento ai sensi dell’art. 66 della l. 218/1995 o piuttosto, soprattutto per quel che concerne la kafālah convenzionale, il ricongiungimento del minore con l’affidatario possa aver luogo esclusivamente nel caso in cui vi sia il combinato disposto di due fattori: che ciò sia rispondente al best interest of the child e che la valutazione case by case dia luogo a un giudizio di non contrarietà dell’accordo di affidamento rispetto all’ordinamento interno e all’ordine pubblico.

Ricongiungimento familiare per kafalah tra ordine pubblico e best interest of child

Agostina Latino
2022-01-01

Abstract

Con il lemma kafālah (in arabo: ةلافك) si fa riferimento – principalmente – all’istituto islamico di tutela dei minori che si trovano in stato di abbandono. In virtù della kafālah un soggetto, denominato kafil, si impegna a curare, educare e mantenere un makful, ossia un minore abbandonato, sino al raggiungimento della maggiore età, senza, tuttavia, che il makful entri giuridicamente a far parte della famiglia del kafil. Tale istituto rappresenta una sorta di confluenza di due precetti coranici, l’uno che vieta l’adozione (in quanto, nell’Islam, la famiglia, espressione della volontà divina, trae origine esclusivamente dal rapporto di filiazione biologica), l’altro che pone l’obbligo di aiutare i bisognosi e gli orfani. Di tal guisa la kafālah costituisce l’unico strumento a protezione dei minori che si trovano in stato di abbandono o che fanno parte di una famiglia d’origine che versa in condizioni di estremo bisogno economico, certo, ma soprattutto deficiente da un punto di vista strutturale e formativo, sicché è gravemente inadeguata a crescere adeguatamente dei fanciulli. Nel contributo presentato, si è proceduto in primo luogo a una breve ricostruzione delle origini storiche e delle diverse declinazioni giuridiche della kafālah, posto che questa possa scaturire sia da un contratto (kafālah puramente «convenzionale» o «negoziale»), contratto che, in un momento successivo, può essere omologato da un notaio (kafālah «negoziale omologata» o «notarile»), sia da un provvedimento dell’Autorità giudiziaria emanato in esito a una procedura volta all’accertamento dell’idoneità del/i kafil (persona singola o coppia di coniugi) a prendersi cura di un minore preventivamente dichiarato “abbandonato” dal competente Tribunale per i Minorenni (kafālah «giudiziale», detta anche «pubblicistica»). In secondo luogo, posto che la kafālah è un istituto giuridico codificato tra le forme di protezione dei minori (specificamente dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 e dalla Convenzione dell’Aja sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori del 1996) si è dato conto specificamente dell’evoluzione della prassi italiana quanto all’applicazione concreta di siffatto istituto, alla luce del fatto che le leggi di ratifica delle summenzionate Convenzioni (rispettivamente l. 176/1991 e l. 101/2015) hanno lasciato insoluta la questione dell’efficacia giuridica di tale istituto nel nostro ordinamento, nulla disponendo quanto alle modalità con cui darne effettivo riconoscimento. Proprio in ragione dell’esigenza di dare continuità alla tutela dei minori e di fornire una risposta all’inevitabile compenetrazione tra ordinamenti giuridici diversi, i molteplici interventi dei giudici di merito e di legittimità sono volti a dare una risposta, in particolare, a due interrogativi: innanzitutto, se l’interpretazione costituzionalmente orientata e rispettosa dei principî affermati dalle norme sovranazionali, utilizzando il criterio guida stabilito dall’art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, ossia l’interesse superiore del minore, possa estendersi fino a ricomprendere anche i ricongiungimenti familiari che si fondano sulla kafālah esclusivamente negoziale, e, a cascata, secondo quali criteri il giudice italiano possa esprimere un giudizio di non contrarietà all’ordinamento interno e di coerenza con il best interest of child. L’analisi dell’ondivaga prassi delle istanze giudiziarie italiane è stata condotta al fine di verificare se l’istituto della kafālah possa oggi dirsi dotato di efficacia diretta nel nostro ordinamento ai sensi dell’art. 66 della l. 218/1995 o piuttosto, soprattutto per quel che concerne la kafālah convenzionale, il ricongiungimento del minore con l’affidatario possa aver luogo esclusivamente nel caso in cui vi sia il combinato disposto di due fattori: che ciò sia rispondente al best interest of the child e che la valutazione case by case dia luogo a un giudizio di non contrarietà dell’accordo di affidamento rispetto all’ordinamento interno e all’ordine pubblico.
2022
298
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