Coworking significa letteralmente “lavorare insieme”. Espressione in uso soprattutto nell’attuale scenario della Sharing Economy, per definire tutte quelle nuove attività che richiedono collaborazione e co-lavoro tra diverse figure professionali, supportate dalla rete e dalle nuove tecnologie che consentono di lavorare insieme anche a distanza. Le attività di coworking assumono molteplici declinazioni e influenzano non solo il modo di relazionarsi ma anche i luoghi e egli spazi lavoro. Semplificando, un “coworking” è uno spazio fisico destinato ad attività lavorative, caratterizzato dalla condivisione di ambienti, arredi, servizi e valori. Il primo chiamato Hat Factory nasce a San Francisco nel 2005 da un’intuizione di Brad Neuberg e si caratterizza inizialmente per l’offerta di postazioni di lavoro e servizi basilari ad altri professionisti, all’interno di un loft. Da quella prima idea il coworking si è fortemente evoluto, ramificandosi in maniera straordinaria per modalità di accesso, offerta di servizi e figure professionali a cui fa riferimento. Secondo i dati del report The 2018 Global Coworking Survey elaborato da Deskmag, nel mondo se ne contano circa diciannovemila, con un numero di frequentatori stimato in oltre un milione e mezzo. In Italia questo modello è sbarcato una decina di anni fa, arrivando a contare lo scorso anno più di cinquecento strutture sparse su tutto il territorio nazionale. La metà di loro ha sede nel Nord Italia, mentre Milano e Roma sono le città con la maggior densità. Anche la provincia sta scoprendo i vantaggi e le opportunità offerte da questo tipo di strutture, riuscendo, in alcuni interessanti esempi, a caratterizzarsi grazie ad una specifica vocazione territoriale. I servizi basilari che un coworking deve offrire comprendono postazione di lavoro, connessione elettrica e a internet, stampanti e fotocopiatrici, telefono, schermi per sessioni di lavoro collettive ma anche l’immancabile comfort food. A questi si aggiungono, in base al contesto, servizio di portineria, aree svago e relax, baby parking, corsi di formazione professionale dedicati a specifici temi e, in alcuni casi, servizi di consulenza legale, commerciale e finanziaria. La lista non è comunque esaustiva dell’articolato panorama di attività che vi hanno luogo, spesso tutte insieme e con gli inevitabili risvolti negativi. Divenuto un vero e proprio fenomeno socio-culturale, frutto di numerosi fattori concomitanti, chi frequenta un coworking lo fa, spesso, solo marginalmente per il vantaggio economico che deriva dalla condivisione di una scrivania. Il reale valore aggiunto è da cercare, invece, nella possibilità di beneficiare di una nuova esperienza di socializzazione professionale, multisettoriale e interculturale, e dall’appagante sensazione di appartenere ad una comunità difficile da circoscrivere, ma che certamente trova la propria ragion d’essere nelle digital technologies, nell’open innovation e nel collaborative design. Open source e connettività, condivisione di idee, saperi e progetti, lavoro collaborativo e non competitivo basato sulla reciproca fiducia, valorizzazione del capitale umano e innovazione sociale sono le parole d’ordine del coworker; uno status in continua crescita tra le figure professionali autonome in cerca di un network di relazioni, per uscire dall’isolamento di una stanza domestica.

The design of coworking places

Jacopo Mascitti
2019-01-01

Abstract

Coworking significa letteralmente “lavorare insieme”. Espressione in uso soprattutto nell’attuale scenario della Sharing Economy, per definire tutte quelle nuove attività che richiedono collaborazione e co-lavoro tra diverse figure professionali, supportate dalla rete e dalle nuove tecnologie che consentono di lavorare insieme anche a distanza. Le attività di coworking assumono molteplici declinazioni e influenzano non solo il modo di relazionarsi ma anche i luoghi e egli spazi lavoro. Semplificando, un “coworking” è uno spazio fisico destinato ad attività lavorative, caratterizzato dalla condivisione di ambienti, arredi, servizi e valori. Il primo chiamato Hat Factory nasce a San Francisco nel 2005 da un’intuizione di Brad Neuberg e si caratterizza inizialmente per l’offerta di postazioni di lavoro e servizi basilari ad altri professionisti, all’interno di un loft. Da quella prima idea il coworking si è fortemente evoluto, ramificandosi in maniera straordinaria per modalità di accesso, offerta di servizi e figure professionali a cui fa riferimento. Secondo i dati del report The 2018 Global Coworking Survey elaborato da Deskmag, nel mondo se ne contano circa diciannovemila, con un numero di frequentatori stimato in oltre un milione e mezzo. In Italia questo modello è sbarcato una decina di anni fa, arrivando a contare lo scorso anno più di cinquecento strutture sparse su tutto il territorio nazionale. La metà di loro ha sede nel Nord Italia, mentre Milano e Roma sono le città con la maggior densità. Anche la provincia sta scoprendo i vantaggi e le opportunità offerte da questo tipo di strutture, riuscendo, in alcuni interessanti esempi, a caratterizzarsi grazie ad una specifica vocazione territoriale. I servizi basilari che un coworking deve offrire comprendono postazione di lavoro, connessione elettrica e a internet, stampanti e fotocopiatrici, telefono, schermi per sessioni di lavoro collettive ma anche l’immancabile comfort food. A questi si aggiungono, in base al contesto, servizio di portineria, aree svago e relax, baby parking, corsi di formazione professionale dedicati a specifici temi e, in alcuni casi, servizi di consulenza legale, commerciale e finanziaria. La lista non è comunque esaustiva dell’articolato panorama di attività che vi hanno luogo, spesso tutte insieme e con gli inevitabili risvolti negativi. Divenuto un vero e proprio fenomeno socio-culturale, frutto di numerosi fattori concomitanti, chi frequenta un coworking lo fa, spesso, solo marginalmente per il vantaggio economico che deriva dalla condivisione di una scrivania. Il reale valore aggiunto è da cercare, invece, nella possibilità di beneficiare di una nuova esperienza di socializzazione professionale, multisettoriale e interculturale, e dall’appagante sensazione di appartenere ad una comunità difficile da circoscrivere, ma che certamente trova la propria ragion d’essere nelle digital technologies, nell’open innovation e nel collaborative design. Open source e connettività, condivisione di idee, saperi e progetti, lavoro collaborativo e non competitivo basato sulla reciproca fiducia, valorizzazione del capitale umano e innovazione sociale sono le parole d’ordine del coworker; uno status in continua crescita tra le figure professionali autonome in cerca di un network di relazioni, per uscire dall’isolamento di una stanza domestica.
2019
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Descrizione: Estratto del numero 163 della rivista
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11581/432054
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