Un blocco scavato Di Luca Galofaro Koolhaas teorizza la grande scala come unica via di fuga dal modernismo se la grande scala trasforma gli spazi, l’aggregazione di tali spazi dà origine ad un nuovo tipo di città. Le strade e le piazze non costituiscono più la scena urbana in cui si evolvono gli eventi collettivi. In realtà sono divenute uno strumento residuo della pianificazione… Cho Min Suk è un architetto capace di applicare questa attitudine a scale completamente diverse ricreando secondo questa teoria, grandi complessi edilizi e piccoli edifici. E’ proprio grazie alla grande scala che si crea una sorta di dissociazione tra esterno ed interno, che diventano parti di due processi progettuali separati, uno ha a che fare con la variabilità delle esigenze pratiche e di immagine, l’altro invece, è uno strumento mistificatorio, offre alla città l’apparente inalterabilità di un oggetto costruito. Montaggio e sovrapposizione diventano così strumenti operativi per l’architettura, quello che caratterizza la disposizione di Mass studies nei confronti dell’architettura non è il dare forma agli oggetti, ma creare o meglio modellare le condizioni sotto le quali forma e oggetti emergano. Il linguaggio perde la sua importanza e il fare architettura acquista una nuova carica ideale, creatore e fruitore si fondono in un lungo processo di assimilizzazione e di reinvenzione. Lo spazio è attraversato in tutte le direzioni da una fitta rete di percorsi diversi, che cambiano forma e dimensione continuamente, non esistono più i tradizionali corridoi, ma una complessa rete di passaggi disomogenei. Una complessità che fino ad oggi era possibile trovare solo all’esterno degli edifici. Questi passaggi formano la griglia che scava il blocco compatto diviso in due parti da una piastra di servizio. La piastra è un grande atrio da dove è possibile osservare l’insieme delle attività che si svolgono in questo ambiente universitario contemporaneo. Il linguaggio architettonico perde forza ma acquista credibilità: non ci interessa infatti un giudizio sul linguaggio quanto invece la riflessione sul tipo di spazio usato e trasformato in luogo urbano. La complessità propria di situazioni urbane consolidate è riprodotta all’interno di un unico edificio, attraverso una miniaturizzazione di tracciati cittadini. Lo spazio si mette in movimento: prospettive sempre diverse guidano alla scoperta di una diversa immaginazione progettuale. Il nuovo immaginario nasce da una lavoro fatto prima di tutto su un concetto essenzialmente figurativo e spaziale, il blocco edilizio prende forma dall’interno per sottrazione di materia. Cho Min Suk si interessa così alla cultura urbana perché più aperta dell’architettura e dei suoi linguaggi, lavorare su elementi urbani come flussi e attività gli permette di sfruttare maggiori opportunità, le varie dimensioni della cultura contemporanea poi si fondono e sono compattate dentro un blocco compatto formato dall’aggregazione di unità cellulari. In questo progetto c’è come in tanti altri suoi progetti una congestione di spazi, funzioni, programmi, vuoti, strutture, strade di accesso, domini publici e privati. Come in un labirinto gli elementi più disparati si intersecano e collidono uno con l’altra, la condizione mentale è accellerata fino a che non si produce qualcosa di nuovo, una realtà sconosciuta. corso in Una sommatoria di parti sostituisce la geografia urbana tradizionale e il movimento diventa un nuovo parametro di progetto. Le reti di movimento distruggono la città compatta, le zone a diversa densità e i flussi tra le zone disegnano nuove strategie. Su queste strategie prende forma un nuovo realismo nel quale il concetto di globalizzazione diventa una pagina bianca su cui lavorare. Montaggio e sovrapposizione diventano gli strumenti operativi per una lettura della città, mentre l’architettura si riduce a uno strumento utile a risolvere problemi d’organizzazione. Cho Min Suk decostruisce la tradizione, per poi ricomporla e ricostruirla attraverso un ordine nascosto e presente in tutto il suo lavoro e la sua immaginazione. Il vuoto va coltivato, curato, il vuoto assume un’importanza strategica fondamentale, questa grande capacità di creare un colloquio tra pieno e vuoto resta anche negli edifici e non solo nelle azioni urbane: lo spazio negativo assume una grande importanza perché ha il potere di trasformare l’architettura. Nel progetto per le residenze studentesche della Daejeon University, sono usati materiali semplici. Evita di studiare i dettagli riducendoli alle componenti essenziali. L’ingresso riprende il colore della pietra esterna, quasi a rendere l’impatto del passaggio esterno-interno il più possibile delicato. Le altre pareti dell’ingresso sono grigie e poi nere. In questo modo lavora con la luce scegliendo i contrasti e gli elementi da mettere in risalto, la luce diviene un elemento importantissimo e, in ogni livello, è usata come un vero e proprio materiale da costruzione. Edificio quindi come infrastruttura: contenitore semplice di relazioni complesse, dove non sono gli involucri esterni a volere stupire lo spettatore. Al blocco degli spazi comuni si addensano tutti gli assi di movimento e sosta. La complessità di questo edificio è in un certo senso una risposta al paesaggio su cui si innesta. Quest’architettura restituisce al territorio una continuità di movimento. .

Residenza universitaria del Daejeon university college

luca galofaro
2019-01-01

Abstract

Un blocco scavato Di Luca Galofaro Koolhaas teorizza la grande scala come unica via di fuga dal modernismo se la grande scala trasforma gli spazi, l’aggregazione di tali spazi dà origine ad un nuovo tipo di città. Le strade e le piazze non costituiscono più la scena urbana in cui si evolvono gli eventi collettivi. In realtà sono divenute uno strumento residuo della pianificazione… Cho Min Suk è un architetto capace di applicare questa attitudine a scale completamente diverse ricreando secondo questa teoria, grandi complessi edilizi e piccoli edifici. E’ proprio grazie alla grande scala che si crea una sorta di dissociazione tra esterno ed interno, che diventano parti di due processi progettuali separati, uno ha a che fare con la variabilità delle esigenze pratiche e di immagine, l’altro invece, è uno strumento mistificatorio, offre alla città l’apparente inalterabilità di un oggetto costruito. Montaggio e sovrapposizione diventano così strumenti operativi per l’architettura, quello che caratterizza la disposizione di Mass studies nei confronti dell’architettura non è il dare forma agli oggetti, ma creare o meglio modellare le condizioni sotto le quali forma e oggetti emergano. Il linguaggio perde la sua importanza e il fare architettura acquista una nuova carica ideale, creatore e fruitore si fondono in un lungo processo di assimilizzazione e di reinvenzione. Lo spazio è attraversato in tutte le direzioni da una fitta rete di percorsi diversi, che cambiano forma e dimensione continuamente, non esistono più i tradizionali corridoi, ma una complessa rete di passaggi disomogenei. Una complessità che fino ad oggi era possibile trovare solo all’esterno degli edifici. Questi passaggi formano la griglia che scava il blocco compatto diviso in due parti da una piastra di servizio. La piastra è un grande atrio da dove è possibile osservare l’insieme delle attività che si svolgono in questo ambiente universitario contemporaneo. Il linguaggio architettonico perde forza ma acquista credibilità: non ci interessa infatti un giudizio sul linguaggio quanto invece la riflessione sul tipo di spazio usato e trasformato in luogo urbano. La complessità propria di situazioni urbane consolidate è riprodotta all’interno di un unico edificio, attraverso una miniaturizzazione di tracciati cittadini. Lo spazio si mette in movimento: prospettive sempre diverse guidano alla scoperta di una diversa immaginazione progettuale. Il nuovo immaginario nasce da una lavoro fatto prima di tutto su un concetto essenzialmente figurativo e spaziale, il blocco edilizio prende forma dall’interno per sottrazione di materia. Cho Min Suk si interessa così alla cultura urbana perché più aperta dell’architettura e dei suoi linguaggi, lavorare su elementi urbani come flussi e attività gli permette di sfruttare maggiori opportunità, le varie dimensioni della cultura contemporanea poi si fondono e sono compattate dentro un blocco compatto formato dall’aggregazione di unità cellulari. In questo progetto c’è come in tanti altri suoi progetti una congestione di spazi, funzioni, programmi, vuoti, strutture, strade di accesso, domini publici e privati. Come in un labirinto gli elementi più disparati si intersecano e collidono uno con l’altra, la condizione mentale è accellerata fino a che non si produce qualcosa di nuovo, una realtà sconosciuta. corso in Una sommatoria di parti sostituisce la geografia urbana tradizionale e il movimento diventa un nuovo parametro di progetto. Le reti di movimento distruggono la città compatta, le zone a diversa densità e i flussi tra le zone disegnano nuove strategie. Su queste strategie prende forma un nuovo realismo nel quale il concetto di globalizzazione diventa una pagina bianca su cui lavorare. Montaggio e sovrapposizione diventano gli strumenti operativi per una lettura della città, mentre l’architettura si riduce a uno strumento utile a risolvere problemi d’organizzazione. Cho Min Suk decostruisce la tradizione, per poi ricomporla e ricostruirla attraverso un ordine nascosto e presente in tutto il suo lavoro e la sua immaginazione. Il vuoto va coltivato, curato, il vuoto assume un’importanza strategica fondamentale, questa grande capacità di creare un colloquio tra pieno e vuoto resta anche negli edifici e non solo nelle azioni urbane: lo spazio negativo assume una grande importanza perché ha il potere di trasformare l’architettura. Nel progetto per le residenze studentesche della Daejeon University, sono usati materiali semplici. Evita di studiare i dettagli riducendoli alle componenti essenziali. L’ingresso riprende il colore della pietra esterna, quasi a rendere l’impatto del passaggio esterno-interno il più possibile delicato. Le altre pareti dell’ingresso sono grigie e poi nere. In questo modo lavora con la luce scegliendo i contrasti e gli elementi da mettere in risalto, la luce diviene un elemento importantissimo e, in ogni livello, è usata come un vero e proprio materiale da costruzione. Edificio quindi come infrastruttura: contenitore semplice di relazioni complesse, dove non sono gli involucri esterni a volere stupire lo spettatore. Al blocco degli spazi comuni si addensano tutti gli assi di movimento e sosta. La complessità di questo edificio è in un certo senso una risposta al paesaggio su cui si innesta. Quest’architettura restituisce al territorio una continuità di movimento. .
2019
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11581/425026
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