L’architettura manicomiale è stata molto indagata fin dalla sua nascita, dando luogo a una produzione storiografica che, particolarmente nel secondo Novecento, ha posto le basi per un più aggiornato e soprattutto organico lavoro di ricostruzione, analisi e interpretazione dello spazio della follia. Gli esiti del progetto di ricerca sui complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, finanziato dal MIUR nell’ambito del PRIN 2008 (coordinato da Cettina Lenza), è il primo tentativo di restituire in un quadro complessivo la realtà storica e architettonica dei manicomi italiani, favorendone al contempo le auspicate azioni di recupero e valorizzazione. Gli esiti, confluiti in un volume collettaneo (Electa 2013) e in un sito ricco di contributi testuali, grafici e iconografici, mettono in luce tanto la ricchezza quanto la vulnerabilità di un patrimonio per lo più in abbandono, dopo essere stato sottoposto a una lunga damnatio memoriae. La realtà dei manicomi dell’Italia contemporanea, infatti, è sempre stata sospesa tra due piani in reciproca opposizione: da un lato la dimensione spesso brutale e drammatica delle strutture deputate alla segregazione e alla separazione dei folli; dall’altro la pretesa funzione terapeutico- riabilitativa di tali strutture. Con l’approvazione della cosiddetta Legge Basaglia (L. 180/1978), si è acuito drammaticamente lo stato di degrado e abbandono di tali complessi, nell’assenza di un piano di interventi di grande respiro strategico. Inseriti nel corpo vivo della città, i complessi psichiatrici sono ancora e più che nel passato, non solo sistemi di riconosciuto valore storico­architettonico e urbano ma anche una grande opportunità. La necessità di disporre di nuove attrezzature per il turismo, di servizi per l’alta formazione universitaria, l’arte e la cultura, sollecita la rifunzionalizzazione e valorizzazione d’impianti che, più di altre architetture dismesse, possono essere una risposta a quell’interdipendenza da sempre auspicata tra città storica, periferie e territorio di pertinenza.

Spazi della follia 1: damnatio memoriae vs riuso

DOTI GERARDO
2018-01-01

Abstract

L’architettura manicomiale è stata molto indagata fin dalla sua nascita, dando luogo a una produzione storiografica che, particolarmente nel secondo Novecento, ha posto le basi per un più aggiornato e soprattutto organico lavoro di ricostruzione, analisi e interpretazione dello spazio della follia. Gli esiti del progetto di ricerca sui complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, finanziato dal MIUR nell’ambito del PRIN 2008 (coordinato da Cettina Lenza), è il primo tentativo di restituire in un quadro complessivo la realtà storica e architettonica dei manicomi italiani, favorendone al contempo le auspicate azioni di recupero e valorizzazione. Gli esiti, confluiti in un volume collettaneo (Electa 2013) e in un sito ricco di contributi testuali, grafici e iconografici, mettono in luce tanto la ricchezza quanto la vulnerabilità di un patrimonio per lo più in abbandono, dopo essere stato sottoposto a una lunga damnatio memoriae. La realtà dei manicomi dell’Italia contemporanea, infatti, è sempre stata sospesa tra due piani in reciproca opposizione: da un lato la dimensione spesso brutale e drammatica delle strutture deputate alla segregazione e alla separazione dei folli; dall’altro la pretesa funzione terapeutico- riabilitativa di tali strutture. Con l’approvazione della cosiddetta Legge Basaglia (L. 180/1978), si è acuito drammaticamente lo stato di degrado e abbandono di tali complessi, nell’assenza di un piano di interventi di grande respiro strategico. Inseriti nel corpo vivo della città, i complessi psichiatrici sono ancora e più che nel passato, non solo sistemi di riconosciuto valore storico­architettonico e urbano ma anche una grande opportunità. La necessità di disporre di nuove attrezzature per il turismo, di servizi per l’alta formazione universitaria, l’arte e la cultura, sollecita la rifunzionalizzazione e valorizzazione d’impianti che, più di altre architetture dismesse, possono essere una risposta a quell’interdipendenza da sempre auspicata tra città storica, periferie e territorio di pertinenza.
2018
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