Resistere Di Luca Galofaro “Cambiare, adattarsi, diventare diversi, somigliare, riecheggiare se stessi… perché tutte le opere devono essere capaci di assumere un’altra forma, perfino di dire le cose in modo diverso, di rappresentarsi a partire da premesse differenti”. Questo breve testo nasce in seguito alla riflessione attorno all’architettura come disciplina.  Oggi si parla molto della necessità  di fare un architettura all'avanguardia, di inseguire l’idea di un’architettura come immagine che invade lo spazio reale e virtuale. Tutto questo provoca in chi continua ad occuparsi del progetto nello stesso modo di sempre, una difficoltà a trovare la propria posizione necessaria per capire e per capirsi. L’unica possibilità per sopravvivere è di usare il progetto come strumento di ricerca. Oggi molto spesso la parola ricerca si confonde con l’Utopia. Ma l'utopia ci dice poco sul futuro, o su quello che rappresenta un'idea di futuro. E' invece estremamente utile per capire il presente dei cosiddetti architetti dell'utopia, i loro mondi, e ancora più importante per misurare il tempo che stiamo vivendo. L'utopia descrive luoghi inesistenti tanto quanto desiderabili, il desiderio di un futuro richiamato sempre a riscattare il presente. Ma che resta oggi dell'utopia? Se non la consapevolezza del fatto che le utopie non si realizzano, e che forse è meglio così. Perché l'utopia è il limite estremo del nostro presente che si sposta di continuo, è la realtà che non ha più bisogno di prefigurare un futuro. Il futuro, come la crisi del sistema che rappresenta, è oggi uno dei principali dispositivi del potere, utilizzato per manipolare le nostre azioni e i nostri pensieri. Crediamo che il futuro si possa sempre cambiare mentre il passato no, è semplicemente fermo in un punto della nostra memoria. Niente di più sbagliato, Benjamin ha osservato che attraverso il ricordo noi agiamo sul passato lo rendiamo nuovamente possibile e per questo attraverso la lettura del passato riusciamo ad accedere al presente. L'immaginazione deve dare ordine alle sequenze di immagini che invadono il nostro spazio mentale, costretto di continuo a selezionare frammenti. E' il primo strumento attraverso il quale costruire l'architettura. A questo punto dobbiamo stare attenti perché la parola immaginazione, può essere una parola pericolosa. Rischia infatti di giustificare ogni atto arbitrario interpretativo e di costruzione di pensiero di un individuo se non si fissa come punto di partenza che l’immaginazione non ha niente a che vedere con una fantasia personale o gratuita. Al contrario, essa ci fa dono di una conoscenza trasversale grazie alla sua forza intrinseca di montaggio che consiste nello scoprire, la dove essa rigetta i legami suscitati dalle ovvie somiglianze, dei legami che l’osservazione diretta non è in grado di discernere. L’immaginazione è in realtà la capacità di orientarsi, di creare connessioni tra realtà diverse, quella capacità che Walter Benjamin descrive molto bene nel suo saggio sulla facoltà mimetica. Una lettura anteriore a ogni linguaggio, leggere ciò che non è mai stato scritto. Se le immagini viaggiano nel tempo, territorialmente e culturalmente come frammenti, secondo i canali ufficiali, libri, musei, opere, in tutti questi trasferimenti subiscono delle trasformazioni, non sempre fisiche, dovute al variare del sentire di chi le guarda. Resistere per superare l’Utopia e la ricerca esasperata di un linguaggio. Oggi il superamento del linguaggio in architettura è una condizione essenziale, e allo stesso tempo necessaria per focalizzare le proprie energie sul processo invece che sull'oggetto. Sul progetto invece che sulla composizione di forme. Molti architetti in tempi diversi hanno prefigurato questa esigenza, che la crisi di un sistema culturale ed economico ha sempre riportato in primo piano, ciclicamente. L'abitare è più importante del disegnare una casa. E’ necessario ritornare ad una concezione dell'architettura come vita. L'abitare rispecchia esigenze di soggetti diversi non è una semplice funzione fisiologica da soddisfare ma è un arte le cui regole vanno trovate e capite.L'abitare quindi è concepito in un processo in cui non è l'architetto a disegnare con la sua attività il paesaggio e l'ambiente ma l'anonimo abitante, l'individuo. Ognuno di noi diventa così il produttore di un campo di forze che è l'abitare stesso. Una concezione che prefigura uno spazio che prende forma dentro di noi attraverso dei principi spaziali che sono coltivati nella nostra memoria e definiti attraverso una costante verifica immaginativa, nessun tentativo di standardizzazione, e riproduzione tecnica, ma la semplificazione di un' esigenza interiore. La casa non è una macchina, ne la macchina un'opera d'arte. La casa è un organismo vivente e non solo un assemblaggio di materiali morti… La casa è un epidermide del corpo umano. Il desiderio di semplicità non deve sfociare nel impoverimento della (casa/case minime) ma è una concentrazione di tutti i mezzi in grado di rispondere ai bisogni vitali di una o più persone. Anche io sono d'accordo che L'Abitare deve essere come struttura immateriale, come una condizione mentale, linea di contatto tra un mondo interiore e il paesaggio che ci circonda …Le definizioni limitate e tradizionali di architettura e dei suoi mezzi hanno oggi perduto in buona parte di validità. Il nostro impegno è rivolto all’ambiente come totalità, e a tutti i mezzi che lo determinano. Alla televisione come al mondo dell’arte, ai mezzi di trasporto come all’abbigliamento, al telefono come all’alloggio. L’ampliamento dell’ambito umano e dei mezzi di determinazione dell’ambiente supera di gran lunga quello del costruito. Oggi praticamente tutto può essere architettura (H. Hollein)

Resistere

luca galofaro
2018-01-01

Abstract

Resistere Di Luca Galofaro “Cambiare, adattarsi, diventare diversi, somigliare, riecheggiare se stessi… perché tutte le opere devono essere capaci di assumere un’altra forma, perfino di dire le cose in modo diverso, di rappresentarsi a partire da premesse differenti”. Questo breve testo nasce in seguito alla riflessione attorno all’architettura come disciplina.  Oggi si parla molto della necessità  di fare un architettura all'avanguardia, di inseguire l’idea di un’architettura come immagine che invade lo spazio reale e virtuale. Tutto questo provoca in chi continua ad occuparsi del progetto nello stesso modo di sempre, una difficoltà a trovare la propria posizione necessaria per capire e per capirsi. L’unica possibilità per sopravvivere è di usare il progetto come strumento di ricerca. Oggi molto spesso la parola ricerca si confonde con l’Utopia. Ma l'utopia ci dice poco sul futuro, o su quello che rappresenta un'idea di futuro. E' invece estremamente utile per capire il presente dei cosiddetti architetti dell'utopia, i loro mondi, e ancora più importante per misurare il tempo che stiamo vivendo. L'utopia descrive luoghi inesistenti tanto quanto desiderabili, il desiderio di un futuro richiamato sempre a riscattare il presente. Ma che resta oggi dell'utopia? Se non la consapevolezza del fatto che le utopie non si realizzano, e che forse è meglio così. Perché l'utopia è il limite estremo del nostro presente che si sposta di continuo, è la realtà che non ha più bisogno di prefigurare un futuro. Il futuro, come la crisi del sistema che rappresenta, è oggi uno dei principali dispositivi del potere, utilizzato per manipolare le nostre azioni e i nostri pensieri. Crediamo che il futuro si possa sempre cambiare mentre il passato no, è semplicemente fermo in un punto della nostra memoria. Niente di più sbagliato, Benjamin ha osservato che attraverso il ricordo noi agiamo sul passato lo rendiamo nuovamente possibile e per questo attraverso la lettura del passato riusciamo ad accedere al presente. L'immaginazione deve dare ordine alle sequenze di immagini che invadono il nostro spazio mentale, costretto di continuo a selezionare frammenti. E' il primo strumento attraverso il quale costruire l'architettura. A questo punto dobbiamo stare attenti perché la parola immaginazione, può essere una parola pericolosa. Rischia infatti di giustificare ogni atto arbitrario interpretativo e di costruzione di pensiero di un individuo se non si fissa come punto di partenza che l’immaginazione non ha niente a che vedere con una fantasia personale o gratuita. Al contrario, essa ci fa dono di una conoscenza trasversale grazie alla sua forza intrinseca di montaggio che consiste nello scoprire, la dove essa rigetta i legami suscitati dalle ovvie somiglianze, dei legami che l’osservazione diretta non è in grado di discernere. L’immaginazione è in realtà la capacità di orientarsi, di creare connessioni tra realtà diverse, quella capacità che Walter Benjamin descrive molto bene nel suo saggio sulla facoltà mimetica. Una lettura anteriore a ogni linguaggio, leggere ciò che non è mai stato scritto. Se le immagini viaggiano nel tempo, territorialmente e culturalmente come frammenti, secondo i canali ufficiali, libri, musei, opere, in tutti questi trasferimenti subiscono delle trasformazioni, non sempre fisiche, dovute al variare del sentire di chi le guarda. Resistere per superare l’Utopia e la ricerca esasperata di un linguaggio. Oggi il superamento del linguaggio in architettura è una condizione essenziale, e allo stesso tempo necessaria per focalizzare le proprie energie sul processo invece che sull'oggetto. Sul progetto invece che sulla composizione di forme. Molti architetti in tempi diversi hanno prefigurato questa esigenza, che la crisi di un sistema culturale ed economico ha sempre riportato in primo piano, ciclicamente. L'abitare è più importante del disegnare una casa. E’ necessario ritornare ad una concezione dell'architettura come vita. L'abitare rispecchia esigenze di soggetti diversi non è una semplice funzione fisiologica da soddisfare ma è un arte le cui regole vanno trovate e capite.L'abitare quindi è concepito in un processo in cui non è l'architetto a disegnare con la sua attività il paesaggio e l'ambiente ma l'anonimo abitante, l'individuo. Ognuno di noi diventa così il produttore di un campo di forze che è l'abitare stesso. Una concezione che prefigura uno spazio che prende forma dentro di noi attraverso dei principi spaziali che sono coltivati nella nostra memoria e definiti attraverso una costante verifica immaginativa, nessun tentativo di standardizzazione, e riproduzione tecnica, ma la semplificazione di un' esigenza interiore. La casa non è una macchina, ne la macchina un'opera d'arte. La casa è un organismo vivente e non solo un assemblaggio di materiali morti… La casa è un epidermide del corpo umano. Il desiderio di semplicità non deve sfociare nel impoverimento della (casa/case minime) ma è una concentrazione di tutti i mezzi in grado di rispondere ai bisogni vitali di una o più persone. Anche io sono d'accordo che L'Abitare deve essere come struttura immateriale, come una condizione mentale, linea di contatto tra un mondo interiore e il paesaggio che ci circonda …Le definizioni limitate e tradizionali di architettura e dei suoi mezzi hanno oggi perduto in buona parte di validità. Il nostro impegno è rivolto all’ambiente come totalità, e a tutti i mezzi che lo determinano. Alla televisione come al mondo dell’arte, ai mezzi di trasporto come all’abbigliamento, al telefono come all’alloggio. L’ampliamento dell’ambito umano e dei mezzi di determinazione dell’ambiente supera di gran lunga quello del costruito. Oggi praticamente tutto può essere architettura (H. Hollein)
2018
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11581/406528
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