Questo scritto si propone di definire le priorità da affrontare, in materia di rilevanza penalistica della convivenza more uxorio, dopo la legge Cirinnà e il decreto attuativo n. 6 del gennaio 2017. La questione della rilevanza penalistica della convivenza more uxorio si presta ad una serie di domande che trascendono i limiti della disciplina contenuta nel recente intervento normativo, il cui perimetro di applicazione investe, quanto alla regola di equivalenza del convivente al coniuge, le sole parti di un’unione civile tra persone dello stesso sesso. È certo che il tema della parificazione del convivente al coniuge va posto, in ambito penalistico, con una domanda più generale: vale a dire se ogni riferimento al coniuge, contenuto nelle norme penali, debba essere esteso alle «convivenze di fatto» regolamentate dai commi 36 e seguenti della legge, e alle coppie di fatto, per dir così, “in senso stretto”, cioè non legalmente unite. Due forme di convivenza non contemplate e regolate, ai fini dell’assimilazione del convivente al coniuge, dalla legge in commento e dal citato decreto legislativo di coordinamento in materia penale. Dopo l’entrata in vigore della suddetta normativa, rimane perciò ancora in primo piano la complessità dei tanti problemi irrisolti sulla questione della rilevanza penalistica della vita familiare di coppia non matrimoniale da valutare nell’ambito di un contesto più generale.

Note introduttive al tema: "La rilevanza penalistica della convivenza more uxorio" (dopo la legge Cirinnà e il decreto legislativo di attuazione in materia penale)

MERLI, Antonella
2017-01-01

Abstract

Questo scritto si propone di definire le priorità da affrontare, in materia di rilevanza penalistica della convivenza more uxorio, dopo la legge Cirinnà e il decreto attuativo n. 6 del gennaio 2017. La questione della rilevanza penalistica della convivenza more uxorio si presta ad una serie di domande che trascendono i limiti della disciplina contenuta nel recente intervento normativo, il cui perimetro di applicazione investe, quanto alla regola di equivalenza del convivente al coniuge, le sole parti di un’unione civile tra persone dello stesso sesso. È certo che il tema della parificazione del convivente al coniuge va posto, in ambito penalistico, con una domanda più generale: vale a dire se ogni riferimento al coniuge, contenuto nelle norme penali, debba essere esteso alle «convivenze di fatto» regolamentate dai commi 36 e seguenti della legge, e alle coppie di fatto, per dir così, “in senso stretto”, cioè non legalmente unite. Due forme di convivenza non contemplate e regolate, ai fini dell’assimilazione del convivente al coniuge, dalla legge in commento e dal citato decreto legislativo di coordinamento in materia penale. Dopo l’entrata in vigore della suddetta normativa, rimane perciò ancora in primo piano la complessità dei tanti problemi irrisolti sulla questione della rilevanza penalistica della vita familiare di coppia non matrimoniale da valutare nell’ambito di un contesto più generale.
2017
262
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