All’origine del rapporto tra i due termini, indizi e prove, al di là del loro uso mass-mediatico, vi è l’esistenza di una duplice lex probatoria, due canoni normativi per l’attribuzione del valore di prova. Uno riguarda l’indagine, incluso il procedimento cautelare; l’altro riguarda il dibattimento. In comune c’è la tutela di diritti fondamentali della persona e il rapporto tra giudice e legge, tra libertà della funzione giurisdizionale e garanzia dei diritti individuali nel processo. Il termine «prova» può significare due cose diverse: in senso ampio come risultato di conoscenza, idoneo a ricomprendere anche la fase investigativa nella quale di prove vere e proprie non dovrebbe parlarsi: qui prova indica l’esito dell’operazione logica condotta su ogni elemento idoneo ad influire sul convincimento del giudice (ad es. artt. 192 comma 1, dove vi è anche la parola «risultato», 530). In un secondo e più ristretto significato si intende invece per prova il fatto rappresentativo, cioè il dato sensibile, più chiaramente il singolo mezzo di prova sul quale l’operazione logica è condotta: cioè l’oggetto della prova (art. 187) di cui le parti richiedono l’ammissione (art. 493). Quanto all’indizio il codice conosce almeno due accezioni corrispondenti a diversi concetti: a) una è l’indizio nell’art. 192; b) l’altra è l’indizio ai sensi dell’art. 273. In entrambe si tratta di una prova incompleta per carenze che impediscono di utilizzarla, di farla valere come tale: nel primo caso perché quello che difetta è la presenza di elementi di contesto; nel secondo caso per la mancanza di attributi tipici della prova, che però consentono l’utilizzazione ad altri fini. a) Nell’art. 192 comma 2 compare l’indizio come prova indiziaria, o logica o critica, vocabolo che indica il fatto noto da cui si inferisce il fatto ignoto. Essa viene messa in relazione con il principio del libero convincimento e con i limiti normativi ai quali, secondo il comma 1, tale principio deve sottostare nella motivazione della sentenza (art. 546). Tra i limiti normativi consistenti nell’enunciazione dei «criteri adottati», cioè dei criteri di valutazione di cui all’art. 192 comma 1, primo fra tutti è quello del comma 2. Esso codifica una regola di valutazione che consente di desumere l’esistenza di un fatto da indizi, ma la subordina ad una serie di circostanze: che siano «gravi, precisi e concordanti». Ciò non significa che sia prova minor. Sia la prova che l’indizio procedono a ritroso: ovvero, visto che il fatto da ricostruire appartiene al passato, la prova è sempre induttiva perché il fatto da provare è indotto dai fatti del presente. In questo senso, logicamente la prova è sempre indiziaria, e le prove sono tutte critiche nel senso che tutte impegnano l’elaborazione critica ai fini del convincimento del giudice. La prova critica non è meno attendibile di quella dichiarativa. Nella prova storica è questione di fiducia. Nella prova critica è questione di forza del legame tra il fatto da provare e il fatto probatorio. Ci sono molte regole di valutazione. Alcune emergono dalla giurisprudenza della Corte europea ad esempio quando si vieta la condanna basata in “misura esclusiva o determinante” su prove non consentite: testimonianza anonima; dichiarazioni rese da un teste vulnerabile; da persona poi divenuta irreperibile. Un criterio di valutazione è previsto dall’art. 533 che consente la condanna quando l’imputato risulti colpevole «al di là di ogni ragionevole dubbio». b) L’altra accezione di indizi compare nel procedimento cautelare (art. 273): nessuno può essere sottoposto ad misura cautelare se a suo carico non sussistono «gravi indizi di colpevolezza». Cosa significa? Qui l’art. 273 definisce come indiziario il presupposto probatorio delle misure cautelari, anche se in realtà non allude alla valutazione. Si tratta di elementi raccolti quando ancora l’accertamento è incompleto e, soprattutto, senza contraddittorio. E tuttavia vi è la necessità, propria dei provvedimenti cautelari, di fondarsi su elementi non ancora sottoposti a tutte le necessarie verifiche. Questi non basterebbero ai fini della condanna. Tuttavia essi possono considerarsi gravi solo se, ipotizzandoli confermati in dibattimento, siano tali da giustificare un giudizio di colpevolezza. Segue un raffronto con altre fattispecie nelle quali compare il termine «indizi» ( ). Art. 63 comma 1 c.p.p.: quando dalle «dichiarazioni (di una persona…) emergono indizi di reità a suo carico (…)». E con l’art. 267 in cui si prevedono «gravi indizi di reato». Rispetto all’art. 273, che li rivolge verso la «colpevolezza», l’art. 267 è più orientato oggettivamente. «Gravi indizi di reato» non equivale alla prova indiziaria. Vi è per un problema: l’art. 273 comma 1-bis richiama alcune norme sulla prova. Ma non il comma 2 dell’art. 192 sui cui si innesca il corto circuito normativo: ai gravi indizi di colpevolezza si applicano le regole della prova indiziaria? Art.192 comma 2 «gravi precisi e concordanti»; art. 273 solo «gravi»: e «precisi e concordanti» è applicabile? La Corte di Cassazione lo ritiene inapplicabile, ma la soluzione non fa venire meno la fecondità, l’attualità e il futuribile di un tema trattato nel presente scritto con rigore e precisione di metodo.
Indizi e prove
GRIFANTINI, Fabio Maria
In corso di stampa
Abstract
All’origine del rapporto tra i due termini, indizi e prove, al di là del loro uso mass-mediatico, vi è l’esistenza di una duplice lex probatoria, due canoni normativi per l’attribuzione del valore di prova. Uno riguarda l’indagine, incluso il procedimento cautelare; l’altro riguarda il dibattimento. In comune c’è la tutela di diritti fondamentali della persona e il rapporto tra giudice e legge, tra libertà della funzione giurisdizionale e garanzia dei diritti individuali nel processo. Il termine «prova» può significare due cose diverse: in senso ampio come risultato di conoscenza, idoneo a ricomprendere anche la fase investigativa nella quale di prove vere e proprie non dovrebbe parlarsi: qui prova indica l’esito dell’operazione logica condotta su ogni elemento idoneo ad influire sul convincimento del giudice (ad es. artt. 192 comma 1, dove vi è anche la parola «risultato», 530). In un secondo e più ristretto significato si intende invece per prova il fatto rappresentativo, cioè il dato sensibile, più chiaramente il singolo mezzo di prova sul quale l’operazione logica è condotta: cioè l’oggetto della prova (art. 187) di cui le parti richiedono l’ammissione (art. 493). Quanto all’indizio il codice conosce almeno due accezioni corrispondenti a diversi concetti: a) una è l’indizio nell’art. 192; b) l’altra è l’indizio ai sensi dell’art. 273. In entrambe si tratta di una prova incompleta per carenze che impediscono di utilizzarla, di farla valere come tale: nel primo caso perché quello che difetta è la presenza di elementi di contesto; nel secondo caso per la mancanza di attributi tipici della prova, che però consentono l’utilizzazione ad altri fini. a) Nell’art. 192 comma 2 compare l’indizio come prova indiziaria, o logica o critica, vocabolo che indica il fatto noto da cui si inferisce il fatto ignoto. Essa viene messa in relazione con il principio del libero convincimento e con i limiti normativi ai quali, secondo il comma 1, tale principio deve sottostare nella motivazione della sentenza (art. 546). Tra i limiti normativi consistenti nell’enunciazione dei «criteri adottati», cioè dei criteri di valutazione di cui all’art. 192 comma 1, primo fra tutti è quello del comma 2. Esso codifica una regola di valutazione che consente di desumere l’esistenza di un fatto da indizi, ma la subordina ad una serie di circostanze: che siano «gravi, precisi e concordanti». Ciò non significa che sia prova minor. Sia la prova che l’indizio procedono a ritroso: ovvero, visto che il fatto da ricostruire appartiene al passato, la prova è sempre induttiva perché il fatto da provare è indotto dai fatti del presente. In questo senso, logicamente la prova è sempre indiziaria, e le prove sono tutte critiche nel senso che tutte impegnano l’elaborazione critica ai fini del convincimento del giudice. La prova critica non è meno attendibile di quella dichiarativa. Nella prova storica è questione di fiducia. Nella prova critica è questione di forza del legame tra il fatto da provare e il fatto probatorio. Ci sono molte regole di valutazione. Alcune emergono dalla giurisprudenza della Corte europea ad esempio quando si vieta la condanna basata in “misura esclusiva o determinante” su prove non consentite: testimonianza anonima; dichiarazioni rese da un teste vulnerabile; da persona poi divenuta irreperibile. Un criterio di valutazione è previsto dall’art. 533 che consente la condanna quando l’imputato risulti colpevole «al di là di ogni ragionevole dubbio». b) L’altra accezione di indizi compare nel procedimento cautelare (art. 273): nessuno può essere sottoposto ad misura cautelare se a suo carico non sussistono «gravi indizi di colpevolezza». Cosa significa? Qui l’art. 273 definisce come indiziario il presupposto probatorio delle misure cautelari, anche se in realtà non allude alla valutazione. Si tratta di elementi raccolti quando ancora l’accertamento è incompleto e, soprattutto, senza contraddittorio. E tuttavia vi è la necessità, propria dei provvedimenti cautelari, di fondarsi su elementi non ancora sottoposti a tutte le necessarie verifiche. Questi non basterebbero ai fini della condanna. Tuttavia essi possono considerarsi gravi solo se, ipotizzandoli confermati in dibattimento, siano tali da giustificare un giudizio di colpevolezza. Segue un raffronto con altre fattispecie nelle quali compare il termine «indizi» ( ). Art. 63 comma 1 c.p.p.: quando dalle «dichiarazioni (di una persona…) emergono indizi di reità a suo carico (…)». E con l’art. 267 in cui si prevedono «gravi indizi di reato». Rispetto all’art. 273, che li rivolge verso la «colpevolezza», l’art. 267 è più orientato oggettivamente. «Gravi indizi di reato» non equivale alla prova indiziaria. Vi è per un problema: l’art. 273 comma 1-bis richiama alcune norme sulla prova. Ma non il comma 2 dell’art. 192 sui cui si innesca il corto circuito normativo: ai gravi indizi di colpevolezza si applicano le regole della prova indiziaria? Art.192 comma 2 «gravi precisi e concordanti»; art. 273 solo «gravi»: e «precisi e concordanti» è applicabile? La Corte di Cassazione lo ritiene inapplicabile, ma la soluzione non fa venire meno la fecondità, l’attualità e il futuribile di un tema trattato nel presente scritto con rigore e precisione di metodo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.