Le democrazie occidentali stanno attraversando da decenni una crisi che coinvolge sia la rappresentanza, sia interi settori dei diritti fondamentali, sia la possibilità dello stato costituzionale di reggere il confronto sul piano internazionale con realtà statali, tutt’altro che democratiche, ma (almeno apparentemente) più “efficienti”, se misurate con il metro della crescita economica. L’involuzione delle democrazie passa attraverso quella dei partiti e della rappresentanza, che a sua volta riflette la trasformazione della società, a partire dai rapporti di produzione. Il patto fondativo ne viene investito in pieno, considerato che i suoi principali attori, partiti e sindacati, hanno da tempo perso sia la capacità di comporre al proprio interno il quadro degli interessi, sia quella di proporre e perseguire un progetto di trasformazione dell’esistente. Oggi constatiamo che il progetto di edificazione di una società nuova, animato dall’aspirazione condivisa a perseguire, insieme alla libertà, anche l’eguaglianza tra i cittadini, è stato sostanzialmente abbandonato, per essere sostituito da un altro, impostosi talvolta praeter, talaltra contra constitutionem, fondato sulla convinzione che there is no alternative. Il panorama della crisi è però molto più vasto, poiché giunge a mettere in discussione la stessa ragion d’essere dello stato, in un contesto in cui il potere e la responsabilità trascendono sistematicamente i limiti territoriali, mentre le decisioni strategiche non possono essere confinate alla dimensione locale, per quanto rilevante essa sia. La stessa dimensione globale è percorsa e controllata da soggetti estranei alla tradizionale dialettica internazionale: laddove vi erano accordi – o conflitti – tra stati, oggi questi sono costretti a confrontarsi con organizzazioni internazionali, delle quali sono parte ma sulle quali esercitano un potere di controllo ridotto; con soggetti privati che, nel perseguire (almeno inizialmente) finalità di natura imprenditoriale, hanno raggiunto dimensioni tali da poter agire come vere e proprie potenze globali. Il volume prende in esame alcuni dei passaggi del percorso di elaborazione, consolidamento ed erosione di un modello di costituzione legato a una stagione di grandi innovazioni che ormai volge al termine, partendo dallo spartiacque della Seconda guerra mondiale. Si affermò definitivamente in quell’epoca l’idea di costituzione come espressione di volontà innovativa e di rottura dell’ordine preesistente, mentre l’enunciazione della sovranità popolare fu circondata di cautele sia di natura sostanziale (diritti inviolabili, principi irrevocabili) che procedurale (percorsi di revisione costituzionale imperniati su maggioranze qualificate e tempistiche intese a scoraggiare i colpi di mano). Le costituzioni del secondo dopoguerra fanno ampio ricorso a enunciati di valore, pur nella consapevolezza del pericolo che essi portano con sé, così come costruiscono meccanismi procedimentali; pur nella consapevolezza che nessuna procedura, da sola, può tutelare i valori fondamentali. Si assume che il potere costituente eserciti la sua capacità performativa sulla totalità della materia costituzionale (potremmo dire su tutto il giuridicamente rilevante), attraendola a sé, (ri)definendola e consegnandola interamente a quella sfera del costituito sulla quale può esercitarsi la forza prescrittiva della costituzione moderna, quale atto di volizione destinato a plasmare l’assetto statale in ogni suo elemento. Il primo problema che affrontiamo è pertanto la definizione del potere costituente, della sua estensione e dei suoi limiti alla luce dell’evoluzione che il concetto ha subito nel corso di un secolo. Il secondo capitolo tratta della perdita di capacità prescrittiva delle costituzioni. Il testo costituzionale del Novecento, nato come espressione della volontà di permeare l’intero ordinamento, ha dovuto confrontarsi con un complesso di norme di natura consuetudinaria o culturale, che ne hanno ridotto la portata. Il terzo capitolo si occupa del rapporto tra costituzione e diritto giurisprudenziale, attraverso l’analisi della controversia statunitense tra originalisti e sostenitori della living constitution. Passeremo quindi a ricostruire la basic structure doctrine e gli effetti della sua diffusione nel rapporto tra interpretazione e modifiche della costituzione. Nel quarto capitolo affronteremo gli effetti sulle costituzioni statali dell’espansione della dimensione internazionale e sovranazionale dei rapporti. Esamineremo la dislocazione dei poteri decisionali, dall’interno alle sedi internazionali e dal legislatore al governo. Vedremo come gli organi giurisdizionali hanno riscritto i cataloghi costituzionali dei diritti. Osserveremo infine le novità introdotte dalla partecipazione di soggetti privati (imprese, fondi d’investimento, associazioni) alla dinamica dei rapporti internazionali.

Il lungo addio. Declino e caduta delle costituzioni novecentesche

Paolo Bianchi
2022-01-01

Abstract

Le democrazie occidentali stanno attraversando da decenni una crisi che coinvolge sia la rappresentanza, sia interi settori dei diritti fondamentali, sia la possibilità dello stato costituzionale di reggere il confronto sul piano internazionale con realtà statali, tutt’altro che democratiche, ma (almeno apparentemente) più “efficienti”, se misurate con il metro della crescita economica. L’involuzione delle democrazie passa attraverso quella dei partiti e della rappresentanza, che a sua volta riflette la trasformazione della società, a partire dai rapporti di produzione. Il patto fondativo ne viene investito in pieno, considerato che i suoi principali attori, partiti e sindacati, hanno da tempo perso sia la capacità di comporre al proprio interno il quadro degli interessi, sia quella di proporre e perseguire un progetto di trasformazione dell’esistente. Oggi constatiamo che il progetto di edificazione di una società nuova, animato dall’aspirazione condivisa a perseguire, insieme alla libertà, anche l’eguaglianza tra i cittadini, è stato sostanzialmente abbandonato, per essere sostituito da un altro, impostosi talvolta praeter, talaltra contra constitutionem, fondato sulla convinzione che there is no alternative. Il panorama della crisi è però molto più vasto, poiché giunge a mettere in discussione la stessa ragion d’essere dello stato, in un contesto in cui il potere e la responsabilità trascendono sistematicamente i limiti territoriali, mentre le decisioni strategiche non possono essere confinate alla dimensione locale, per quanto rilevante essa sia. La stessa dimensione globale è percorsa e controllata da soggetti estranei alla tradizionale dialettica internazionale: laddove vi erano accordi – o conflitti – tra stati, oggi questi sono costretti a confrontarsi con organizzazioni internazionali, delle quali sono parte ma sulle quali esercitano un potere di controllo ridotto; con soggetti privati che, nel perseguire (almeno inizialmente) finalità di natura imprenditoriale, hanno raggiunto dimensioni tali da poter agire come vere e proprie potenze globali. Il volume prende in esame alcuni dei passaggi del percorso di elaborazione, consolidamento ed erosione di un modello di costituzione legato a una stagione di grandi innovazioni che ormai volge al termine, partendo dallo spartiacque della Seconda guerra mondiale. Si affermò definitivamente in quell’epoca l’idea di costituzione come espressione di volontà innovativa e di rottura dell’ordine preesistente, mentre l’enunciazione della sovranità popolare fu circondata di cautele sia di natura sostanziale (diritti inviolabili, principi irrevocabili) che procedurale (percorsi di revisione costituzionale imperniati su maggioranze qualificate e tempistiche intese a scoraggiare i colpi di mano). Le costituzioni del secondo dopoguerra fanno ampio ricorso a enunciati di valore, pur nella consapevolezza del pericolo che essi portano con sé, così come costruiscono meccanismi procedimentali; pur nella consapevolezza che nessuna procedura, da sola, può tutelare i valori fondamentali. Si assume che il potere costituente eserciti la sua capacità performativa sulla totalità della materia costituzionale (potremmo dire su tutto il giuridicamente rilevante), attraendola a sé, (ri)definendola e consegnandola interamente a quella sfera del costituito sulla quale può esercitarsi la forza prescrittiva della costituzione moderna, quale atto di volizione destinato a plasmare l’assetto statale in ogni suo elemento. Il primo problema che affrontiamo è pertanto la definizione del potere costituente, della sua estensione e dei suoi limiti alla luce dell’evoluzione che il concetto ha subito nel corso di un secolo. Il secondo capitolo tratta della perdita di capacità prescrittiva delle costituzioni. Il testo costituzionale del Novecento, nato come espressione della volontà di permeare l’intero ordinamento, ha dovuto confrontarsi con un complesso di norme di natura consuetudinaria o culturale, che ne hanno ridotto la portata. Il terzo capitolo si occupa del rapporto tra costituzione e diritto giurisprudenziale, attraverso l’analisi della controversia statunitense tra originalisti e sostenitori della living constitution. Passeremo quindi a ricostruire la basic structure doctrine e gli effetti della sua diffusione nel rapporto tra interpretazione e modifiche della costituzione. Nel quarto capitolo affronteremo gli effetti sulle costituzioni statali dell’espansione della dimensione internazionale e sovranazionale dei rapporti. Esamineremo la dislocazione dei poteri decisionali, dall’interno alle sedi internazionali e dal legislatore al governo. Vedremo come gli organi giurisdizionali hanno riscritto i cataloghi costituzionali dei diritti. Osserveremo infine le novità introdotte dalla partecipazione di soggetti privati (imprese, fondi d’investimento, associazioni) alla dinamica dei rapporti internazionali.
2022
979-12-5976-364-8
276
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11581/465251
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