Nell’ambito dell’economia commerciale dello Stato Pontificio e degli scambi con l’altra sponda marina, questo saggio illustra le dinamiche e i protagonisti degli interventi infrastrutturali sulla portualità minore del medio e alto Adriatico tra il Seicento e il Settecento. Gli interventi individuati sono dovuti a un gruppo di architetti, ingegneri e idraulici che proprio in quegli anni si dedicano con regolare continuità alla progettazione di costruzioni o installazioni fluviali o marine. La narrazione proposta ruota intorno a una duplice polarità: da una parte la politica dei pontefici che getta le linee programmatiche e d’intervento, dall’altra la concorrenza e la convivenza messe in atto da un manipolo di agguerriti progettisti che si avvicendano nei principali incarichi sia nei porti tirrenici sia in quelli adriatici. Vedute differenti, comprese tra innovazione, esperienza e criteri di economicità d’intervento, che si possono rileggere nella disputa che si attua tra Carlo Fontana e Cornelius Meyer per le proposte sulla nuova palificata da realizzare alle porte di Roma per contenere le piene del Tevere nei pressi della via Flaminia, così come nelle alterne vicende di alcuni progetti destinati a risolvere i problemi legati all’insabbiamento degli scali adriatici. Le varie ricette proposte aprono un interessante contezioso tra le prerogative dell’architetto, dell’ingegnere, del tecnico in una fase di profondo cambiamento della società e di riorganizzazione del lavoro. A questi ambiti professionali si aggiungono la realizzazione di sistemi di approvvigionamento idrico e di ricostruzione post-sismica in ambiti di fragilità idrogeologica. Questo fervore propositivo si dipana per oltre cinquant’anni dal 1675 al 1725 circa, fase durante la quale lo Stato Pontificio cerca di rilanciare sia i traffici marittimi sia la ricostituzione di una rete portuale connessa alla riorganizzazione stradale che doveva supportare le rotte commerciali adriatiche.
Proposte e interventi infrastrutturali tra Sei e Settecento
Bonaccorso Giuseppe
2021-01-01
Abstract
Nell’ambito dell’economia commerciale dello Stato Pontificio e degli scambi con l’altra sponda marina, questo saggio illustra le dinamiche e i protagonisti degli interventi infrastrutturali sulla portualità minore del medio e alto Adriatico tra il Seicento e il Settecento. Gli interventi individuati sono dovuti a un gruppo di architetti, ingegneri e idraulici che proprio in quegli anni si dedicano con regolare continuità alla progettazione di costruzioni o installazioni fluviali o marine. La narrazione proposta ruota intorno a una duplice polarità: da una parte la politica dei pontefici che getta le linee programmatiche e d’intervento, dall’altra la concorrenza e la convivenza messe in atto da un manipolo di agguerriti progettisti che si avvicendano nei principali incarichi sia nei porti tirrenici sia in quelli adriatici. Vedute differenti, comprese tra innovazione, esperienza e criteri di economicità d’intervento, che si possono rileggere nella disputa che si attua tra Carlo Fontana e Cornelius Meyer per le proposte sulla nuova palificata da realizzare alle porte di Roma per contenere le piene del Tevere nei pressi della via Flaminia, così come nelle alterne vicende di alcuni progetti destinati a risolvere i problemi legati all’insabbiamento degli scali adriatici. Le varie ricette proposte aprono un interessante contezioso tra le prerogative dell’architetto, dell’ingegnere, del tecnico in una fase di profondo cambiamento della società e di riorganizzazione del lavoro. A questi ambiti professionali si aggiungono la realizzazione di sistemi di approvvigionamento idrico e di ricostruzione post-sismica in ambiti di fragilità idrogeologica. Questo fervore propositivo si dipana per oltre cinquant’anni dal 1675 al 1725 circa, fase durante la quale lo Stato Pontificio cerca di rilanciare sia i traffici marittimi sia la ricostituzione di una rete portuale connessa alla riorganizzazione stradale che doveva supportare le rotte commerciali adriatiche.File | Dimensione | Formato | |
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