Sulla soglia della modernità l’incontro dei cristiani europei con popolazioni radicalmente “altre” si risolve immediatamente nel depredare, assoggettare, sfruttare, fino al più grande genocidio di cui si ha memoria. Ma ben presto viene elaborata anche la critica della violenza e dello sfruttamento: “¿estos non son hombres?” chiedono i primi domenicani arrivati nelle Indie. Protagonista di questo controdiscorso è stato Bartolomé de Las Casas (1484-1566), che si converte alla causa degli indiani dopo essere stato lui stesso colono e cappellano dei conquistadores. In una vita di impegno militante è riuscito a portare la denuncia delle guerre di conquista e dello sfruttamento fin nel cuore del potere spagnolo e imperiale. Il libro, dopo una ricostruzione della straordinaria vita di Las Casas e un inquadramento della sua formazione (capitolo 1), ripercorre la denuncia lascasiana delle violenze perpetrate nelle guerre di conquista, l’agghiacciante fenomenologia del terrore che emerge nelle sue opere storiche (capitolo 2). Se la teoria della guerra giusta era stata elaborata per giustificare il ricorso alla guerra da parte dei cristiani, nelle mani di Las Casas la essa diviene uno strumento di condanna delle violenze dei cristiani, del carattere tirannico della conquista e di rivendicazione della piena legittimità della resistenza indiana, fino alle estreme conseguenze del diritto di trucidare gli invasori e cacciarli, da un lato, ma anche, dall’altro lato, di giudicarli e vendicare le loro azioni nefande. Il capitolo 3 si affronta la denuncia dell’altra causa della distruzione degli indiani – la loro riduzione in schiavitù e il sistema della cosiddetta encomienda – ; Las Casas contesta la teoria secondo la quale gli indiani, in quanto “barbari”, sono schiavi per natura e mette in questione il ricorso al lavoro servile e schiavile nell’epoca del suo rilancio con l’avvio dell’economia capitalistica. Nel capitolo 4 si ripercorre l’apologia dei buoni costumi, dei virtuosi ordinamenti, delle istituzioni politiche e della razionalità degli indiani; qui Las Casas si apre al riconoscimento dei contesti culturali degli “altri” fino a considerare scusabili pratiche come i sacrifici umani. Nel capitolo 4 si esamina la teoria politica di Las Casas, basata su una visione della libertà naturale che richiede il consenso di tutto il popolo per ogni istituzione del potere politico. Il capitolo 6 ripercorre l’evoluzione della posizione sulla conquista e l’evangelizzazione. Las Casas si converte da pacificatore dei conquistati a promotore di forme paternalistiche e disciplinari di riforma, che fanno ancora riferimento alla visione dell’evangelizzazione come civilizzazione. Ma di lì in poi, una progressiva radicalizzazione lo porta a denunciare come ingiusto e tirannico tutto ciò che è stato compiuto nelle Indie.

Bartolomé de Las Casas. La conquista senza fondamento

BACCELLI, Luca
2016-01-01

Abstract

Sulla soglia della modernità l’incontro dei cristiani europei con popolazioni radicalmente “altre” si risolve immediatamente nel depredare, assoggettare, sfruttare, fino al più grande genocidio di cui si ha memoria. Ma ben presto viene elaborata anche la critica della violenza e dello sfruttamento: “¿estos non son hombres?” chiedono i primi domenicani arrivati nelle Indie. Protagonista di questo controdiscorso è stato Bartolomé de Las Casas (1484-1566), che si converte alla causa degli indiani dopo essere stato lui stesso colono e cappellano dei conquistadores. In una vita di impegno militante è riuscito a portare la denuncia delle guerre di conquista e dello sfruttamento fin nel cuore del potere spagnolo e imperiale. Il libro, dopo una ricostruzione della straordinaria vita di Las Casas e un inquadramento della sua formazione (capitolo 1), ripercorre la denuncia lascasiana delle violenze perpetrate nelle guerre di conquista, l’agghiacciante fenomenologia del terrore che emerge nelle sue opere storiche (capitolo 2). Se la teoria della guerra giusta era stata elaborata per giustificare il ricorso alla guerra da parte dei cristiani, nelle mani di Las Casas la essa diviene uno strumento di condanna delle violenze dei cristiani, del carattere tirannico della conquista e di rivendicazione della piena legittimità della resistenza indiana, fino alle estreme conseguenze del diritto di trucidare gli invasori e cacciarli, da un lato, ma anche, dall’altro lato, di giudicarli e vendicare le loro azioni nefande. Il capitolo 3 si affronta la denuncia dell’altra causa della distruzione degli indiani – la loro riduzione in schiavitù e il sistema della cosiddetta encomienda – ; Las Casas contesta la teoria secondo la quale gli indiani, in quanto “barbari”, sono schiavi per natura e mette in questione il ricorso al lavoro servile e schiavile nell’epoca del suo rilancio con l’avvio dell’economia capitalistica. Nel capitolo 4 si ripercorre l’apologia dei buoni costumi, dei virtuosi ordinamenti, delle istituzioni politiche e della razionalità degli indiani; qui Las Casas si apre al riconoscimento dei contesti culturali degli “altri” fino a considerare scusabili pratiche come i sacrifici umani. Nel capitolo 4 si esamina la teoria politica di Las Casas, basata su una visione della libertà naturale che richiede il consenso di tutto il popolo per ogni istituzione del potere politico. Il capitolo 6 ripercorre l’evoluzione della posizione sulla conquista e l’evangelizzazione. Las Casas si converte da pacificatore dei conquistati a promotore di forme paternalistiche e disciplinari di riforma, che fanno ancora riferimento alla visione dell’evangelizzazione come civilizzazione. Ma di lì in poi, una progressiva radicalizzazione lo porta a denunciare come ingiusto e tirannico tutto ciò che è stato compiuto nelle Indie.
2016
978-88-07-10522-7
276
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