Viene esaminata la lunga e complessa vicenda storica circa l’individuazione della “giusta ’indennità di espropriazione” che interessa gli anni che vanno dal 1865 (anno in cui viene approvata la legge n. 2359) fino ai nostri giorni. Molte questioni sono ancora aperte ed è facile prevedere, considerate le fasi precedenti, che ci saranno altri interventi legislativi e altre pronunce della Corte costituzionale. La legge del 1865 era caratterizzata da un’idea fondamentale: consistente nella determinazione dell’indennità in base al valore di mercato del bene assoggettato all’espropriazione; tutte le numerose leggi successive se ne erano discostate, fino all’inversione di marcia segnata dalla legge n. 244 del 2007 che ha riproposto – collocandola però in un contesto più variegato - l’idea originaria (modificando l’art. 37 del Testo unico dell’espropriazione di cui al D.P.R. n. 327/2001). Si può affermare che la legge del 1865 ha attraversato cinque periodi di operatività, ciascuno con caratteri peculiari. Il primo periodo va dal 1865 al 1885, anno in cui entra in vigore la legge n. 2892 per il risanamento della città di Napoli ed è quello del pieno dominio della “giusta indennità” pari al valore di mercato del bene assoggettato ad espropriazione, senza ulteriori e diversi tipi di indennità o distinzioni tra espropriazioni isolate ed espropriazioni per l’attuazione di riforme economiche e sociali. La legge del 1865 è considerata, per la sua stessa essenza, una grande riforma, sia per gli effetti di unificazione legislativa che realizza, sia perché forniva, sul piano economico e sociale, la risposta organica del nuovo Stato italiano al grande bisogno di opere pubbliche. Il secondo periodo, quello di maggiore durata (quasi cento anni) va dal 1885 fino alla sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 1983: entrano in vigore, a cominciare dalla legge per Napoli, numerosi provvedimenti legislativi contenenti criteri per la determinazione dell’indennità di espropriazione, diversi dal valore di mercato del bene e, nella pratica attuazione, sicuramente di ammontare molto più ridotto rispetto a quel valore. La legge del 1865 perde progressivamente i margini di attuazione fino al punto in cui la legge n. 247 del 1974 la svuota di ogni incidenza pratica. In quel momento la legge del 1865 ha soltanto una vita come pura forma di legge, priva di efficacia. Il terzo periodo va dalla sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 1983 fino all’entrata in vigore dell’art. 5 bis della legge n. 359 del 1992. In questo periodo, in seguito alle ripetute declaratorie d'illegittimità costituzionale sia di commi essenziali (dal quinto al settimo) dell’art. 16 della legge n. 865 del 1971, sia delle successive modificazioni legislative, si verifica una diffusa efficacia della legge del 1865, proprio perché si trattava di una disciplina non abrogata, ma soltanto derogata dalla legislazione successiva. La ripresa di operatività è consistente, ma non è piena, non è assimilabile al primo periodo, in quanto vale soltanto per le aree edificabili, ma non per le aree agricole. Il quarto periodo va dall’entrata in vigore dell’art. 5 bis della legge n. 359 del 1992 fino alla sentenza della Corte costituzionale n. 348 del 2007 e alla conseguente nuova disciplina dell’indennità contenuta nel modificato art. 37 del Testo unico sull’espropriazione: la legge del 1865, questa volta, non perde progressivamente i margini di incidenza pratica, ma li perde immediatamente tutti, per effetto del suddetto art. 5 bis. Di nuovo, la legge del 1865 ha soltanto una vita come pura forma di legge, priva di efficacia. In questo periodo subisce anche il colpo di grazia: viene abrogata (addirittura – come constatato alla fine del paragrafo 4 - viene abrogata due volte), a decorrere dal 30 giugno 2003, dall'art. 58 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità. Il quinto periodo, quello attuale, inizia con la sentenza della Corte costituzionale n. 348 del 2007 e con la necessaria nuova disciplina dell’indennità contenuta nel modificato art. 37 del Testo unico sull’espropriazione (anche essa avvenuta nel 2007). In sostanza, ci sono due criteri di riferimento per la “giusta indennità” di espropriazione delle aree edificabili: il primo ripropone l’idea fondamentale della legge del 1865, così che l'indennità deve essere determinata nella misura pari al valore di mercato del bene; però, quando l'espropriazione è rivolta ad attuare interventi di riforma economico-sociale, va utilizzato un secondo criterio l'indennità è ridotta del 25 %. Possiamo dire che, in quest’ultimo (quinto) periodo, la legge del 1865 torna a rivivere soltanto nella sua idea fondamentale, basata sull’identità tra la misura dell’indennità di espropriazione e il valore di mercato del bene. Mentre nel primo periodo questa identità riguardava qualsiasi tipo di espropriazione; attualmente vale soltanto per le espropriazioni isolate, non per l’indennità da corrispondere nei casi di riforme economiche e sociali. Sul modo di intendere le riforme, bisogna registrare un radicale mutamento del quadro concettuale. Si è rilevato in precedenza che la legge del 1865 era considerata, per la sua stessa essenza e per i suoi effetti, una grande riforma. Ugualmente, per molti anni, le leggi sull’espropriazione sono state considerate riforme economiche sociali. La Corte costituzionale, con le sentenze 16 giugno 1993, n. 283; 8 maggio 1995, n. 153; 19 marzo 1996, n. 80; 30 aprile 1999, n. 147, aveva riconosciuto all’art. 5 bis della legge n. 359 del 1992 il carattere di norma fondamentale di grande riforma economico-sociale. E’ vero che tale riconoscimento era avvenuto, soprattutto, al fine di porre limiti all’esercizio delle competenze legislative delle Regioni a statuto speciale, però è altrettanto innegabile che, in questo modo, era assente qualsiasi distinzione tra espropriazioni isolate ed espropriazioni per l’attuazione delle riforme. Adesso, dopo la sentenza della Corte di Strasburgo del 29 marzo 2006, per individuare la presenza di riforme economiche e sociali è necessario tenere conto della qualità dei fini di utilità pubblica che si vogliono effettivamente perseguire con le espropriazioni, perché le espropriazioni isolate per finalità limitate non sono assimilabili ai piani di espropriazione volti a rendere possibili interventi programmati di riforma economica o migliori condizioni di giustizia sociale.
L'indennità di espropriazione: il ritorno alla legge del 1865
Lorenzotti, Fabrizio
2016-01-01
Abstract
Viene esaminata la lunga e complessa vicenda storica circa l’individuazione della “giusta ’indennità di espropriazione” che interessa gli anni che vanno dal 1865 (anno in cui viene approvata la legge n. 2359) fino ai nostri giorni. Molte questioni sono ancora aperte ed è facile prevedere, considerate le fasi precedenti, che ci saranno altri interventi legislativi e altre pronunce della Corte costituzionale. La legge del 1865 era caratterizzata da un’idea fondamentale: consistente nella determinazione dell’indennità in base al valore di mercato del bene assoggettato all’espropriazione; tutte le numerose leggi successive se ne erano discostate, fino all’inversione di marcia segnata dalla legge n. 244 del 2007 che ha riproposto – collocandola però in un contesto più variegato - l’idea originaria (modificando l’art. 37 del Testo unico dell’espropriazione di cui al D.P.R. n. 327/2001). Si può affermare che la legge del 1865 ha attraversato cinque periodi di operatività, ciascuno con caratteri peculiari. Il primo periodo va dal 1865 al 1885, anno in cui entra in vigore la legge n. 2892 per il risanamento della città di Napoli ed è quello del pieno dominio della “giusta indennità” pari al valore di mercato del bene assoggettato ad espropriazione, senza ulteriori e diversi tipi di indennità o distinzioni tra espropriazioni isolate ed espropriazioni per l’attuazione di riforme economiche e sociali. La legge del 1865 è considerata, per la sua stessa essenza, una grande riforma, sia per gli effetti di unificazione legislativa che realizza, sia perché forniva, sul piano economico e sociale, la risposta organica del nuovo Stato italiano al grande bisogno di opere pubbliche. Il secondo periodo, quello di maggiore durata (quasi cento anni) va dal 1885 fino alla sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 1983: entrano in vigore, a cominciare dalla legge per Napoli, numerosi provvedimenti legislativi contenenti criteri per la determinazione dell’indennità di espropriazione, diversi dal valore di mercato del bene e, nella pratica attuazione, sicuramente di ammontare molto più ridotto rispetto a quel valore. La legge del 1865 perde progressivamente i margini di attuazione fino al punto in cui la legge n. 247 del 1974 la svuota di ogni incidenza pratica. In quel momento la legge del 1865 ha soltanto una vita come pura forma di legge, priva di efficacia. Il terzo periodo va dalla sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 1983 fino all’entrata in vigore dell’art. 5 bis della legge n. 359 del 1992. In questo periodo, in seguito alle ripetute declaratorie d'illegittimità costituzionale sia di commi essenziali (dal quinto al settimo) dell’art. 16 della legge n. 865 del 1971, sia delle successive modificazioni legislative, si verifica una diffusa efficacia della legge del 1865, proprio perché si trattava di una disciplina non abrogata, ma soltanto derogata dalla legislazione successiva. La ripresa di operatività è consistente, ma non è piena, non è assimilabile al primo periodo, in quanto vale soltanto per le aree edificabili, ma non per le aree agricole. Il quarto periodo va dall’entrata in vigore dell’art. 5 bis della legge n. 359 del 1992 fino alla sentenza della Corte costituzionale n. 348 del 2007 e alla conseguente nuova disciplina dell’indennità contenuta nel modificato art. 37 del Testo unico sull’espropriazione: la legge del 1865, questa volta, non perde progressivamente i margini di incidenza pratica, ma li perde immediatamente tutti, per effetto del suddetto art. 5 bis. Di nuovo, la legge del 1865 ha soltanto una vita come pura forma di legge, priva di efficacia. In questo periodo subisce anche il colpo di grazia: viene abrogata (addirittura – come constatato alla fine del paragrafo 4 - viene abrogata due volte), a decorrere dal 30 giugno 2003, dall'art. 58 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità. Il quinto periodo, quello attuale, inizia con la sentenza della Corte costituzionale n. 348 del 2007 e con la necessaria nuova disciplina dell’indennità contenuta nel modificato art. 37 del Testo unico sull’espropriazione (anche essa avvenuta nel 2007). In sostanza, ci sono due criteri di riferimento per la “giusta indennità” di espropriazione delle aree edificabili: il primo ripropone l’idea fondamentale della legge del 1865, così che l'indennità deve essere determinata nella misura pari al valore di mercato del bene; però, quando l'espropriazione è rivolta ad attuare interventi di riforma economico-sociale, va utilizzato un secondo criterio l'indennità è ridotta del 25 %. Possiamo dire che, in quest’ultimo (quinto) periodo, la legge del 1865 torna a rivivere soltanto nella sua idea fondamentale, basata sull’identità tra la misura dell’indennità di espropriazione e il valore di mercato del bene. Mentre nel primo periodo questa identità riguardava qualsiasi tipo di espropriazione; attualmente vale soltanto per le espropriazioni isolate, non per l’indennità da corrispondere nei casi di riforme economiche e sociali. Sul modo di intendere le riforme, bisogna registrare un radicale mutamento del quadro concettuale. Si è rilevato in precedenza che la legge del 1865 era considerata, per la sua stessa essenza e per i suoi effetti, una grande riforma. Ugualmente, per molti anni, le leggi sull’espropriazione sono state considerate riforme economiche sociali. La Corte costituzionale, con le sentenze 16 giugno 1993, n. 283; 8 maggio 1995, n. 153; 19 marzo 1996, n. 80; 30 aprile 1999, n. 147, aveva riconosciuto all’art. 5 bis della legge n. 359 del 1992 il carattere di norma fondamentale di grande riforma economico-sociale. E’ vero che tale riconoscimento era avvenuto, soprattutto, al fine di porre limiti all’esercizio delle competenze legislative delle Regioni a statuto speciale, però è altrettanto innegabile che, in questo modo, era assente qualsiasi distinzione tra espropriazioni isolate ed espropriazioni per l’attuazione delle riforme. Adesso, dopo la sentenza della Corte di Strasburgo del 29 marzo 2006, per individuare la presenza di riforme economiche e sociali è necessario tenere conto della qualità dei fini di utilità pubblica che si vogliono effettivamente perseguire con le espropriazioni, perché le espropriazioni isolate per finalità limitate non sono assimilabili ai piani di espropriazione volti a rendere possibili interventi programmati di riforma economica o migliori condizioni di giustizia sociale.File | Dimensione | Formato | |
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