Per la prima volta, nel territorio marchigiano, viene effettuata una ricerca scientifica riguardante l’impiego della zootecnia come elemento per la prevenzione degli incendi. Alcuni dati bibliografici sono disponibili da ricerche realizzate in ambienti mediterranei e sub-mediterranei (Toscana) oppure in ambiente alpino; ciò implica che i risultati di tali ricerche non sono utilizzabili come base di partenza per la sperimentazione oggetto di questo Progetto. Il contesto ambientale delle ricerche svolte in altri settori italiani ed europei è infatti costituito prevalentemente dagli ambienti forestali a sclerofille sempreverdi riferibili, dal punto di vista fitosociologico, all’alleanza Quercion ilicis o ai boschi di conifere dell’ordine Vaccinio-Piceetalia. Il contesto forestale appenninico marchigiano è invece riferibile ai boschi misti caducifogli dell’alleanza Carpinion orientalis e, sopra i 1000 m di quota, dell’alleanze Geranio versicoloris-Fagion e Aremonio-Fagion. Queste formazioni vegetali, dal punto di vista ecologico, differiscono dai boschi mediterranei per composizione floristica, struttura (orizzontale e verticale), fitomassa, dinamismo, livelli di umidità del suolo e della lettiera forestale. Anche dal punto di vista zootecnico esistono notevoli differenze tra le realtà descritte in bibliografia e quella appenninica; tali differenze riguardano sia le razze allevate che le modalità di pascolamento. Infatti, nei territori d’impronta mediterranea l’allevamento è sostanzialmente di tipo stanziale e permanente, mentre in quello appenninico è limitato all’alpeggio estivo con spostamenti stagionali, mentre il pascolo in bosco è tradizionalmente limitato (nel tempo) ed occasionale (nello spazio). L’unica razza che frequenta sporadicamente il bosco è il bovino marchigiano, in particolare le fattrici, nel periodo autunno-invernale. D’altro canto, la disponibilità di foraggio di buona qualità sulle superfici prative appenniniche è, allo stato attuale, di gran lunga superiore rispetto a quello richiesto dagli animali pascolanti (a causa dei noti processi socio-economici che hanno portato al declino della zootecnia delle aree interne). A questo quadro forestale e zootecnico si affianca quello relativo al numero ed alla dinamica degli incendi boschivi nel territorio montano, nonché il processo di ricolonizzazione delle aree pascolive da parte delle essenze arbustive e forestali a causa del declino socio-economico dei sistemi pastorali estensivi montani. Le Marche si pongono come una delle regioni italiane con minor superficie forestale percorsa dal fuoco, ma con notevole estensione di praterie montane in condizioni di sottoutilizzo o abbandono. La maggior parte delle praterie appenniniche è, per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, il risultato dell’uso passato del suolo ed il loro mantenimento dipende da una corretta gestione da parte dell’uomo. A partire dagli anni ’50 l’Appennino umbro-marchigiano è stato invece caratterizzato da una progressiva riduzione delle attività agro-silvo-pastorali quali sfalcio, pascolo, ecc., con conseguente graduale modificazione della composizione floristica e della struttura delle comunità erbacee. Il Paléo rupestre (Brachypodium rupestre) noto come “falascone” o “brachipodio”, è diventato, nelle aree sottoutilizzate, la specie dominante poiché la scarsa appetibilità, la possibilità di riprodursi per via vegetativa e la struttura architettonica caratterizzata da un apparato fogliare molto espanso sia orizzontalmente che verticalmente, li rende altamente competitivi nei confronti delle altre specie. Conseguenza di ciò è l’accumulo continuo di lettiera che porta ad una modificazione della diversità specifica. Tutto ciò si riflette naturalmente anche sulla componente zootecnica, poiché gradualmente questi pascoli diventano meno appetibili e produttivi e quindi tendono ad essere ulteriormente evitati dagli erbivori pascolanti. L’espansione del Brachypodium sp. pl. e, più genericamente, l’accumulo di necromassa nelle fasce ecotonali risultano essere tra le cause principali della propagazione degli incendi, poiché l’innesco è nella maggior parte dei casi esterno all’area boscata vera e propria, interessando le suddette fasce ecotonali (arbusteti, boscaglie e boschi radi), generalmente non gestite dal punto di vista forestale o zootecnico. In tali situazioni l’accumulo di necromassa e la presenza di vegetazione arbustiva possono essere, da un lato, di facilitazione alla progressione degli incendi (di natura quasi totalmente dolosa) e dall’altro rappresentare il veicolo per la propagazione del fuoco verso le parti alte degli alberi (incendi di chioma). La sperimentazione negli ambienti mediterranei italiani ha messo in evidenza come il pascolo nelle fasce parafuoco (aree che interrompono la superficie combustibile e facilitano gli interventi di spegnimento) e nelle zone di passaggio fra esse ed il bosco offra buone garanzie di controllo degli incendi, sia per l’asportazione di necromassa negli spazi aperti, che per il controllo della diffusione delle essenze arbustive dell’ecotono. Inoltre, sia dal punto di vista produttivo che da quello protettivo la sperimentazione in ambiente mediterraneo ha evidenziato interessanti differenze di comportamento fra le specie pascolanti. Gli ovini ed i bovini hanno dimostrato notevole capacità di gestione degli spazi aperti, dovuta ad una elevata ingestione di erba, comportamento che riduce l’accumulo di necromassa limitando così i pericoli di trasmissione del fuoco lungo le bande. I bovini hanno dimostrato una maggiore capacità di contenere lo sviluppo della vegetazione arbustiva dell’ecotono, mentre i caprini, in grado di alzarsi sugli arti posteriori per completare la ripulitura delle piante legnose anche nei luoghi più impervi, hanno evidenziato un’elevata capacità di mantenere “pulite” le aree scoscese o inaccessibili agli altri animali. Sulla base di tali conoscenze, il ruolo degli ungulati nella conservazione dell’ecosistema è oggi ben riconosciuto (Gordon et al., 1990; Olff & Ritchie, 1998; Silanikove et al., 1998), ma occorre evidenziare che il ricorso alla zootecnia in ambienti boschivi non è sempre facile. È opportuno considerare la stagionalità della produzione foraggiera, che non permette un pascolamento costante durante l’arco dell’anno e tenere presente l’attitudine e le capacità alimentari delle varie specie in rapporto all’offerta del pascolo stesso. Da tutte le precedenti esperienze è emerso che il miglior sistema per diminuire il rischio di incendi si basa sulla riduzione della necromassa, la quale, avendo un basso tenore di umidità può dare origine più facilmente, (rispetto alla fitomassa verde), a processi di combustione. In questa ottica l’utilizzo alimentare della fitomassa prima che questa secchi e muoia, costituisce il punto centrale su cui basare le azioni di prevenzione. Ugualmente importante nella valutazione degli effetti del pascolo in bosco è la modifica della sua struttura architettonica, nonché il possibile impatto sulla biodiversità vegetale ed animale. Tenendo quindi presenti le suddette problematiche, il progetto “Zootecnia e prevenzione incendi” (Bando di Ricerca e Sperimentazione – L.R. 37/99 – DGR 1234/05) ha avuto come obiettivo principale la valutazione dell’efficacia, degli impatti e dei costi delle diverse tecniche di pascolo nelle fasce ecotonali o in aree pascolive con abbondante vegetazione arbustiva, sia ai fini della prevenzione degli incendi che del controllo dell’espansione della vegetazione arbustiva e/o di basso valore pabulare nelle praterie montane appenniniche.
Il pascolo animale per la prevenzione degli incendi forestali e la conservazione degli ecosistemi pastorali
CATORCI, Andrea
2010-01-01
Abstract
Per la prima volta, nel territorio marchigiano, viene effettuata una ricerca scientifica riguardante l’impiego della zootecnia come elemento per la prevenzione degli incendi. Alcuni dati bibliografici sono disponibili da ricerche realizzate in ambienti mediterranei e sub-mediterranei (Toscana) oppure in ambiente alpino; ciò implica che i risultati di tali ricerche non sono utilizzabili come base di partenza per la sperimentazione oggetto di questo Progetto. Il contesto ambientale delle ricerche svolte in altri settori italiani ed europei è infatti costituito prevalentemente dagli ambienti forestali a sclerofille sempreverdi riferibili, dal punto di vista fitosociologico, all’alleanza Quercion ilicis o ai boschi di conifere dell’ordine Vaccinio-Piceetalia. Il contesto forestale appenninico marchigiano è invece riferibile ai boschi misti caducifogli dell’alleanza Carpinion orientalis e, sopra i 1000 m di quota, dell’alleanze Geranio versicoloris-Fagion e Aremonio-Fagion. Queste formazioni vegetali, dal punto di vista ecologico, differiscono dai boschi mediterranei per composizione floristica, struttura (orizzontale e verticale), fitomassa, dinamismo, livelli di umidità del suolo e della lettiera forestale. Anche dal punto di vista zootecnico esistono notevoli differenze tra le realtà descritte in bibliografia e quella appenninica; tali differenze riguardano sia le razze allevate che le modalità di pascolamento. Infatti, nei territori d’impronta mediterranea l’allevamento è sostanzialmente di tipo stanziale e permanente, mentre in quello appenninico è limitato all’alpeggio estivo con spostamenti stagionali, mentre il pascolo in bosco è tradizionalmente limitato (nel tempo) ed occasionale (nello spazio). L’unica razza che frequenta sporadicamente il bosco è il bovino marchigiano, in particolare le fattrici, nel periodo autunno-invernale. D’altro canto, la disponibilità di foraggio di buona qualità sulle superfici prative appenniniche è, allo stato attuale, di gran lunga superiore rispetto a quello richiesto dagli animali pascolanti (a causa dei noti processi socio-economici che hanno portato al declino della zootecnia delle aree interne). A questo quadro forestale e zootecnico si affianca quello relativo al numero ed alla dinamica degli incendi boschivi nel territorio montano, nonché il processo di ricolonizzazione delle aree pascolive da parte delle essenze arbustive e forestali a causa del declino socio-economico dei sistemi pastorali estensivi montani. Le Marche si pongono come una delle regioni italiane con minor superficie forestale percorsa dal fuoco, ma con notevole estensione di praterie montane in condizioni di sottoutilizzo o abbandono. La maggior parte delle praterie appenniniche è, per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, il risultato dell’uso passato del suolo ed il loro mantenimento dipende da una corretta gestione da parte dell’uomo. A partire dagli anni ’50 l’Appennino umbro-marchigiano è stato invece caratterizzato da una progressiva riduzione delle attività agro-silvo-pastorali quali sfalcio, pascolo, ecc., con conseguente graduale modificazione della composizione floristica e della struttura delle comunità erbacee. Il Paléo rupestre (Brachypodium rupestre) noto come “falascone” o “brachipodio”, è diventato, nelle aree sottoutilizzate, la specie dominante poiché la scarsa appetibilità, la possibilità di riprodursi per via vegetativa e la struttura architettonica caratterizzata da un apparato fogliare molto espanso sia orizzontalmente che verticalmente, li rende altamente competitivi nei confronti delle altre specie. Conseguenza di ciò è l’accumulo continuo di lettiera che porta ad una modificazione della diversità specifica. Tutto ciò si riflette naturalmente anche sulla componente zootecnica, poiché gradualmente questi pascoli diventano meno appetibili e produttivi e quindi tendono ad essere ulteriormente evitati dagli erbivori pascolanti. L’espansione del Brachypodium sp. pl. e, più genericamente, l’accumulo di necromassa nelle fasce ecotonali risultano essere tra le cause principali della propagazione degli incendi, poiché l’innesco è nella maggior parte dei casi esterno all’area boscata vera e propria, interessando le suddette fasce ecotonali (arbusteti, boscaglie e boschi radi), generalmente non gestite dal punto di vista forestale o zootecnico. In tali situazioni l’accumulo di necromassa e la presenza di vegetazione arbustiva possono essere, da un lato, di facilitazione alla progressione degli incendi (di natura quasi totalmente dolosa) e dall’altro rappresentare il veicolo per la propagazione del fuoco verso le parti alte degli alberi (incendi di chioma). La sperimentazione negli ambienti mediterranei italiani ha messo in evidenza come il pascolo nelle fasce parafuoco (aree che interrompono la superficie combustibile e facilitano gli interventi di spegnimento) e nelle zone di passaggio fra esse ed il bosco offra buone garanzie di controllo degli incendi, sia per l’asportazione di necromassa negli spazi aperti, che per il controllo della diffusione delle essenze arbustive dell’ecotono. Inoltre, sia dal punto di vista produttivo che da quello protettivo la sperimentazione in ambiente mediterraneo ha evidenziato interessanti differenze di comportamento fra le specie pascolanti. Gli ovini ed i bovini hanno dimostrato notevole capacità di gestione degli spazi aperti, dovuta ad una elevata ingestione di erba, comportamento che riduce l’accumulo di necromassa limitando così i pericoli di trasmissione del fuoco lungo le bande. I bovini hanno dimostrato una maggiore capacità di contenere lo sviluppo della vegetazione arbustiva dell’ecotono, mentre i caprini, in grado di alzarsi sugli arti posteriori per completare la ripulitura delle piante legnose anche nei luoghi più impervi, hanno evidenziato un’elevata capacità di mantenere “pulite” le aree scoscese o inaccessibili agli altri animali. Sulla base di tali conoscenze, il ruolo degli ungulati nella conservazione dell’ecosistema è oggi ben riconosciuto (Gordon et al., 1990; Olff & Ritchie, 1998; Silanikove et al., 1998), ma occorre evidenziare che il ricorso alla zootecnia in ambienti boschivi non è sempre facile. È opportuno considerare la stagionalità della produzione foraggiera, che non permette un pascolamento costante durante l’arco dell’anno e tenere presente l’attitudine e le capacità alimentari delle varie specie in rapporto all’offerta del pascolo stesso. Da tutte le precedenti esperienze è emerso che il miglior sistema per diminuire il rischio di incendi si basa sulla riduzione della necromassa, la quale, avendo un basso tenore di umidità può dare origine più facilmente, (rispetto alla fitomassa verde), a processi di combustione. In questa ottica l’utilizzo alimentare della fitomassa prima che questa secchi e muoia, costituisce il punto centrale su cui basare le azioni di prevenzione. Ugualmente importante nella valutazione degli effetti del pascolo in bosco è la modifica della sua struttura architettonica, nonché il possibile impatto sulla biodiversità vegetale ed animale. Tenendo quindi presenti le suddette problematiche, il progetto “Zootecnia e prevenzione incendi” (Bando di Ricerca e Sperimentazione – L.R. 37/99 – DGR 1234/05) ha avuto come obiettivo principale la valutazione dell’efficacia, degli impatti e dei costi delle diverse tecniche di pascolo nelle fasce ecotonali o in aree pascolive con abbondante vegetazione arbustiva, sia ai fini della prevenzione degli incendi che del controllo dell’espansione della vegetazione arbustiva e/o di basso valore pabulare nelle praterie montane appenniniche.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.