Alla sovraesposizione culturale del concetto di paesaggio non seguono significative ricadute nei processi decisionali di governo del territorio. Se è vero che l’aspirazione ad una migliore qualità paesaggistica debba contaminare, pervasivamente, ogni angolo del paese , ivi incluse le aree degradate e dell’ordinarietà, è altrettanto certo che questa ipertrofia evocativa non può volare sopra le pratiche quotidiane di gestione del territorio. Cogliere il senso profondo del paesaggio quale risorsa primaria di eccezionale utilità per favorire la qualità dell’abitare diventa, dunque, concezione straordinariamente innovativa, soprattutto in questo momento storico in cui il piacere dell’abitare sembra essere uno dei valori più trascurati dall’intera popolazione, sia dai poveri che dai ricchi. In tal senso, la qualità del paesaggio non è altra cosa rispetto alla qualità della vita. Forse, proprio in quest’ultima equivalenza si nasconde la straordinaria novità introdotta dalla Convenzione Europea del Paesaggio che “popolarizza e democratizza” la risorsa paesistica, ne decreta l’appartenenza a tutti, invece che a una ristretta elite ma, soprattutto, ne sancisce la sua centralità in ogni azione di trasformazione urbanistica. Non si tratta, dunque, di una pervasività che imbelletta e decora quanto già progettualmente definito bensì di un’ossatura che struttura, anima e prefigura nuovi assetti urbani e territoriali, ponendo sullo sfondo non solo l’etica del paesaggio (che porta alla luce i valori del paesaggio, leggendoli come beni durevoli, da difendere oltre le contingenze) ma, soprattutto, l’utilità del paesaggio. In questa prospettiva, si consolida l’esigenza di spostare l’attenzione dal paesaggio oggetto di tutela, tema di nicchia, esplorato dagli appassionati ma piuttosto lontano dalla politica militante, al paesaggio come strumento per migliorare l’efficienza operativa degli interventi, l’efficacia socio economica dei progetti, e la loro gestione nel lungo periodo. Da for landscape a landscape for, come efficacemente sintetizza Paolo Castelnovi nella Relazione introduttiva di un recente convegno sul paesaggio presso il Politecnico di Torino. Superare l’isolamento socio culturale in cui l’hobby di alcuni ha ridotto il paesaggio è dunque possibile nella misura in cui si trovano lo spazio e le occasioni propizie per tradurre importanti intuizioni strategiche in piani e progetti che parlano di ambiente, agricoltura, turismo, economia locale e ridisegno della città, alla giusta scala. La Rete dei cammini Lauretani è una di queste concrete opportunità che permette di dare vita a “progetti positivamente incidenti sul territorio, per gestire, nel tempo, processi trasformativi dolci: lunghi, lenti ma anche resilienti, inclusivi e poco attaccabili da ideologie passeggere” .
Percorsi veloci e percorsi lenti (ovvero elogio della lentezza)
SARGOLINI, Massimo
2013-01-01
Abstract
Alla sovraesposizione culturale del concetto di paesaggio non seguono significative ricadute nei processi decisionali di governo del territorio. Se è vero che l’aspirazione ad una migliore qualità paesaggistica debba contaminare, pervasivamente, ogni angolo del paese , ivi incluse le aree degradate e dell’ordinarietà, è altrettanto certo che questa ipertrofia evocativa non può volare sopra le pratiche quotidiane di gestione del territorio. Cogliere il senso profondo del paesaggio quale risorsa primaria di eccezionale utilità per favorire la qualità dell’abitare diventa, dunque, concezione straordinariamente innovativa, soprattutto in questo momento storico in cui il piacere dell’abitare sembra essere uno dei valori più trascurati dall’intera popolazione, sia dai poveri che dai ricchi. In tal senso, la qualità del paesaggio non è altra cosa rispetto alla qualità della vita. Forse, proprio in quest’ultima equivalenza si nasconde la straordinaria novità introdotta dalla Convenzione Europea del Paesaggio che “popolarizza e democratizza” la risorsa paesistica, ne decreta l’appartenenza a tutti, invece che a una ristretta elite ma, soprattutto, ne sancisce la sua centralità in ogni azione di trasformazione urbanistica. Non si tratta, dunque, di una pervasività che imbelletta e decora quanto già progettualmente definito bensì di un’ossatura che struttura, anima e prefigura nuovi assetti urbani e territoriali, ponendo sullo sfondo non solo l’etica del paesaggio (che porta alla luce i valori del paesaggio, leggendoli come beni durevoli, da difendere oltre le contingenze) ma, soprattutto, l’utilità del paesaggio. In questa prospettiva, si consolida l’esigenza di spostare l’attenzione dal paesaggio oggetto di tutela, tema di nicchia, esplorato dagli appassionati ma piuttosto lontano dalla politica militante, al paesaggio come strumento per migliorare l’efficienza operativa degli interventi, l’efficacia socio economica dei progetti, e la loro gestione nel lungo periodo. Da for landscape a landscape for, come efficacemente sintetizza Paolo Castelnovi nella Relazione introduttiva di un recente convegno sul paesaggio presso il Politecnico di Torino. Superare l’isolamento socio culturale in cui l’hobby di alcuni ha ridotto il paesaggio è dunque possibile nella misura in cui si trovano lo spazio e le occasioni propizie per tradurre importanti intuizioni strategiche in piani e progetti che parlano di ambiente, agricoltura, turismo, economia locale e ridisegno della città, alla giusta scala. La Rete dei cammini Lauretani è una di queste concrete opportunità che permette di dare vita a “progetti positivamente incidenti sul territorio, per gestire, nel tempo, processi trasformativi dolci: lunghi, lenti ma anche resilienti, inclusivi e poco attaccabili da ideologie passeggere” .I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.