Con la formula “legalità della prova” l’attuale codice di procedura penale vuole indicare che il conoscere giudiziale, in quanto implica esercizio di un potere, costituisce un’attività giuridicamente regolata tenuta al rispetto di una serie di limiti: quelli attinenti ai mezzi ammissibili e vietati, al procedimento probatorio, ai criteri di valutazione. Tra i segni più caratteristici di questa impostazione va ricordata la disposizione di cui all’art. 187 sul requisito di pertinenza-rilevanza che, collocata in apertura del libro III sulle prove, nel delimitare l’oggetto che si deve ricercare e conoscere mira a definire una fisiologia del potere giudiziario, del suo ruolo e dei suoi fini. La determinazione dell’oggetto di prova è parametro essenziale sia per lo svolgimento del contraddittorio, sia per altri giudizi: il giudizio di ammissione probatoria, o la valutazione della pertinenza delle domande nell’esame orale. Uno di questi limiti è quello posto dall’art. 188. Sotto forma di divieto probatorio la norma enuncia un principio di carattere generale che impedisce di manipolare la psiche con mezzi di costrizione mentale o fisica, a prescindere dal consenso della persona interessata, dalla cui violazione discende l’inutilizzabilità della prova eventualmente ottenuta. Si tratta di disposizione di natura sistemica e indisponibile, la cui esistenza è resa in parte necessaria dall’art. 189 la quale risolve in senso affermativo il problema della prova innominata: cioè dei mezzi di prova che non rientrano nel catalogo dei mezzi tipici previsti dalla legge, in passato risolto grazie al dogma del libero convincimento e della libertà dei mezzi di prova. Ora l’acquisizione di tali mezzi viene subordinata all’esistenza di due requisiti: l’idoneità conoscitiva del mezzo e l’impossibilità del pregiudizio della libertà morale. Ma soprattutto viene chiarito che deve trattarsi di mezzi di prova non disciplinati dalla legge, così da evitare di confondere l’eventualità di mezzi di conoscenza ulteriori a quelli previsti, messi a disposizione dal progresso tecnologico, con un’asserita libertà del giudice di classificare come diversa una prova disciplinata dal legislatore, ma assunta contra legem che deve invece essere dichiarata vietata ed inutilizzabile. Con il riconoscimento del diritto delle parti alla prova l’art. 190 attua un vero e proprio ribaltamento di prospettiva rispetto al sistema previgente, che era invece caratterizzato dal predominio assoluto dei poteri d’iniziativa ufficiosi del giudice rispetto al diritto delle parti. Attualmente il rapporto tra regola ed eccezione è capovolto. L’iniziativa probatoria è attribuita in via principale alle parti, mentre all’iniziativa del giudice è riservato un ruolo esclusivamente residuale. Per dare concretezza all’inviolabilità del diritto di difesa il diritto alla prova viene inteso nell’accezione di “diritto di difendersi provando” (VASSALLI), cioè a vedere ammessa la prova richiesta dalle parti. Ne scaturisce una forte limitazione dei poteri del giudice di escludere le prove richieste dalle parti con una sorta di presunzione di ammissibilità di tali mezzi, che può venire meno solo quando si tratti di prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti. Ne deriva anche la legittimazione del diritto all’indagine in capo al difensore, perché se le prove devono ammettersi a richiesta di parte la legge deve attribuire ad esse un potere di ricercarle. Viene inoltre garantita alle parti una pronuncia immediata ed esplicita sulle richieste istruttorie, ribadendo altresì la garanzia del contraddittorio nella revoca dei provvedimenti ammissivi che è essenziale nella dinamica del diritto alla prova. L’art. 190-bis introduce una limitazione eccezionale al diritto alla prova che dà prevalenza alla prova documentale scritta rispetto all’escussione orale per esigenze pratiche legate alla necessità di impedire l’usura delle fonti di prova, o alla riservatezza del minore infrasedicenne coinvolto in episodi di violenza o abuso sessuale. Non è però derogabile in linea di massima il principio del contraddittorio, per cui la limitazione opera solo quando esso ha potuto operare rispetto alla persona nei cui confronti la prova verrà utilizzata (incidente probatorio o dibattimento), o quando il giudice, o le parti, lo ritengano necessario: in questi casi si torna al principio generale sancito dall’art. 190. Conclude l’opera la trattazione dell’art. 191, norma simbolo della reazione del sistema all’introduzione nel processo di prove in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, mediante la previsione dell’inutilizzabilità delle prove (comma 1) e della sua rilevabilità in ogni stato e grado del procedimento (comma 2). L’art. 606 lett. c. aggiunge che l’inutilizzabilità può formare motivo di ricorso in Cassazione. L’analisi si incentra sulla categoria dei divieti probatori, in precedenza contrassegnati dalla sanzione della nullità, ed ora affidati alla nuova sanzione dell’inutilizzabilità, e sui dubbi che restano: a cominciare proprio dai rapporti con la nullità che non viene meno come forma di invalidità che può essere riferita alla prova; fino ad arrivare all’ambito operativo della sanzione con riguardo alla fase, cioè se si estenda alle indagini preliminari, ed anche al concetto di divieto: in particolare, se questo debba essere riferito solo ai divieti di ammissione della prova, cioè all’an della prova, oppure si estenda anche alle regole di acquisizione, ovvero al quomodo della prova, come parrebbe indicare il participio “acquisite” impiegato nel primo comma dell’art. 191. A tal fine l’opera in esame propone un criterio inedito di riconoscimento dei divieti probatori inerenti il quomodo della prova, oltre ad una classificazione basata sul modo di operare dell’inutilizzabilità. Chiudono lo svolgimento prima l’analisi dell’inutilizzabilità derivata e del peculiare concetto di derivazione; poi l’esame dei rimedi prospettabili contro l’inutizzabilità: una possibilità che sarebbe inopportuno circoscrivere all’apposito motivo di ricorso (art. 606 lett. c) che consente di far valere i i passaggi non espressi nello sviluppo argomentativo della sentenza. Rimane, infatti, tuttora la possibilità di far valere il difetto di motivazione della sentenza (art. 606 lett. e) che si basi su prove inutilizzabili, come l’articolo in esame riesce a dimostrare con notevole efficacia.
Commento agli artt. 187, 188, 189, 190, 190-bis, 191
GRIFANTINI, Fabio Maria
2005-01-01
Abstract
Con la formula “legalità della prova” l’attuale codice di procedura penale vuole indicare che il conoscere giudiziale, in quanto implica esercizio di un potere, costituisce un’attività giuridicamente regolata tenuta al rispetto di una serie di limiti: quelli attinenti ai mezzi ammissibili e vietati, al procedimento probatorio, ai criteri di valutazione. Tra i segni più caratteristici di questa impostazione va ricordata la disposizione di cui all’art. 187 sul requisito di pertinenza-rilevanza che, collocata in apertura del libro III sulle prove, nel delimitare l’oggetto che si deve ricercare e conoscere mira a definire una fisiologia del potere giudiziario, del suo ruolo e dei suoi fini. La determinazione dell’oggetto di prova è parametro essenziale sia per lo svolgimento del contraddittorio, sia per altri giudizi: il giudizio di ammissione probatoria, o la valutazione della pertinenza delle domande nell’esame orale. Uno di questi limiti è quello posto dall’art. 188. Sotto forma di divieto probatorio la norma enuncia un principio di carattere generale che impedisce di manipolare la psiche con mezzi di costrizione mentale o fisica, a prescindere dal consenso della persona interessata, dalla cui violazione discende l’inutilizzabilità della prova eventualmente ottenuta. Si tratta di disposizione di natura sistemica e indisponibile, la cui esistenza è resa in parte necessaria dall’art. 189 la quale risolve in senso affermativo il problema della prova innominata: cioè dei mezzi di prova che non rientrano nel catalogo dei mezzi tipici previsti dalla legge, in passato risolto grazie al dogma del libero convincimento e della libertà dei mezzi di prova. Ora l’acquisizione di tali mezzi viene subordinata all’esistenza di due requisiti: l’idoneità conoscitiva del mezzo e l’impossibilità del pregiudizio della libertà morale. Ma soprattutto viene chiarito che deve trattarsi di mezzi di prova non disciplinati dalla legge, così da evitare di confondere l’eventualità di mezzi di conoscenza ulteriori a quelli previsti, messi a disposizione dal progresso tecnologico, con un’asserita libertà del giudice di classificare come diversa una prova disciplinata dal legislatore, ma assunta contra legem che deve invece essere dichiarata vietata ed inutilizzabile. Con il riconoscimento del diritto delle parti alla prova l’art. 190 attua un vero e proprio ribaltamento di prospettiva rispetto al sistema previgente, che era invece caratterizzato dal predominio assoluto dei poteri d’iniziativa ufficiosi del giudice rispetto al diritto delle parti. Attualmente il rapporto tra regola ed eccezione è capovolto. L’iniziativa probatoria è attribuita in via principale alle parti, mentre all’iniziativa del giudice è riservato un ruolo esclusivamente residuale. Per dare concretezza all’inviolabilità del diritto di difesa il diritto alla prova viene inteso nell’accezione di “diritto di difendersi provando” (VASSALLI), cioè a vedere ammessa la prova richiesta dalle parti. Ne scaturisce una forte limitazione dei poteri del giudice di escludere le prove richieste dalle parti con una sorta di presunzione di ammissibilità di tali mezzi, che può venire meno solo quando si tratti di prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti. Ne deriva anche la legittimazione del diritto all’indagine in capo al difensore, perché se le prove devono ammettersi a richiesta di parte la legge deve attribuire ad esse un potere di ricercarle. Viene inoltre garantita alle parti una pronuncia immediata ed esplicita sulle richieste istruttorie, ribadendo altresì la garanzia del contraddittorio nella revoca dei provvedimenti ammissivi che è essenziale nella dinamica del diritto alla prova. L’art. 190-bis introduce una limitazione eccezionale al diritto alla prova che dà prevalenza alla prova documentale scritta rispetto all’escussione orale per esigenze pratiche legate alla necessità di impedire l’usura delle fonti di prova, o alla riservatezza del minore infrasedicenne coinvolto in episodi di violenza o abuso sessuale. Non è però derogabile in linea di massima il principio del contraddittorio, per cui la limitazione opera solo quando esso ha potuto operare rispetto alla persona nei cui confronti la prova verrà utilizzata (incidente probatorio o dibattimento), o quando il giudice, o le parti, lo ritengano necessario: in questi casi si torna al principio generale sancito dall’art. 190. Conclude l’opera la trattazione dell’art. 191, norma simbolo della reazione del sistema all’introduzione nel processo di prove in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, mediante la previsione dell’inutilizzabilità delle prove (comma 1) e della sua rilevabilità in ogni stato e grado del procedimento (comma 2). L’art. 606 lett. c. aggiunge che l’inutilizzabilità può formare motivo di ricorso in Cassazione. L’analisi si incentra sulla categoria dei divieti probatori, in precedenza contrassegnati dalla sanzione della nullità, ed ora affidati alla nuova sanzione dell’inutilizzabilità, e sui dubbi che restano: a cominciare proprio dai rapporti con la nullità che non viene meno come forma di invalidità che può essere riferita alla prova; fino ad arrivare all’ambito operativo della sanzione con riguardo alla fase, cioè se si estenda alle indagini preliminari, ed anche al concetto di divieto: in particolare, se questo debba essere riferito solo ai divieti di ammissione della prova, cioè all’an della prova, oppure si estenda anche alle regole di acquisizione, ovvero al quomodo della prova, come parrebbe indicare il participio “acquisite” impiegato nel primo comma dell’art. 191. A tal fine l’opera in esame propone un criterio inedito di riconoscimento dei divieti probatori inerenti il quomodo della prova, oltre ad una classificazione basata sul modo di operare dell’inutilizzabilità. Chiudono lo svolgimento prima l’analisi dell’inutilizzabilità derivata e del peculiare concetto di derivazione; poi l’esame dei rimedi prospettabili contro l’inutizzabilità: una possibilità che sarebbe inopportuno circoscrivere all’apposito motivo di ricorso (art. 606 lett. c) che consente di far valere i i passaggi non espressi nello sviluppo argomentativo della sentenza. Rimane, infatti, tuttora la possibilità di far valere il difetto di motivazione della sentenza (art. 606 lett. e) che si basi su prove inutilizzabili, come l’articolo in esame riesce a dimostrare con notevole efficacia.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.