Per l’ultima volta Tra il 1972 e il 1979 Ettore Sottsass realizza una serie di modelli ambientali, vere e proprie istallazioni site specific, le “Metafore”, percorrendo a più riprese i deserti dei Pirenei. Un progetto che coincide con un periodo professionale intenso, “Sentivo una grande necessità di visitare luoghi deserti, montagne, di ristabilire un rapporto fisico con il cosmo, unico ambiente reale, proprio perché non è misurabile, né prevedibile, né controllabile, né conoscibile… mi pareva che se si voleva riconquistare qualche cosa bisognasse cominciare a riconquistare i gesti microscopici, le azioni elementari, il senso della propria posizione.” Sono gli anni in cui Sottsass mette in discussione il design e l’architettura, legati a un meccanismo di produzione e consumo piuttosto che ai reali bisogni dell’uomo. Sente l’esigenza di viaggiare, per lui condizione necessaria dello stare al mondo. Il viaggio per Sottsass è lo strumento che aiuta l’individuo a trovare la giusta distanza dalla realtà che lo circonda. Durante questi viaggi non si limita a fotografare, ma costruisce spazi temporanei attraverso l’uso di materiali naturali, corde, tessuti oggetti trovati. Nelle Metafore la costruzione dell’immagine coincide esattamente con la costruzione dello spazio, è un vero e proprio sistema di scrittura spaziale. Ma che tipo di opere sono queste metafore? Non sono certo solo fotografie, sono invece architetture senza muri, stanze in cui natura e architettura si confondono, proiezioni dell’immaginazione. Sono il vuoto in cui l’architettura si rivela grazie alle tracce di una presenza umana, monologhi interiori tra luoghi e anima. Mappa di un viaggio all’interno del proprio io, non a caso condiviso con una giovane artista Spagnola, per sei anni, compagna di avventura e non solo. Il deserto diventa così luogo di aspirazioni, desideri, e di simbologie contemporanee. Per provare a parlare di Sottsass per l’ultima volta abbiamo chiesto a Stefano Graziani di inseguire queste metafore per raccontare il mondo, anzi di guardare il mondo che ci circonda con la stessa curiosità, essendo convinti che in ogni frammento del reale sia nascosto uno spazio, una traccia di architettura. Stefano Graziani lo ha fatto selezionando un gruppo di giovani fotografi. Ha guardato e riguardato le Metafore di Sottsass ancora per una volta, cercando tracce da seguire.

Per l’ultima volta

Luca Galofaro;
2018-01-01

Abstract

Per l’ultima volta Tra il 1972 e il 1979 Ettore Sottsass realizza una serie di modelli ambientali, vere e proprie istallazioni site specific, le “Metafore”, percorrendo a più riprese i deserti dei Pirenei. Un progetto che coincide con un periodo professionale intenso, “Sentivo una grande necessità di visitare luoghi deserti, montagne, di ristabilire un rapporto fisico con il cosmo, unico ambiente reale, proprio perché non è misurabile, né prevedibile, né controllabile, né conoscibile… mi pareva che se si voleva riconquistare qualche cosa bisognasse cominciare a riconquistare i gesti microscopici, le azioni elementari, il senso della propria posizione.” Sono gli anni in cui Sottsass mette in discussione il design e l’architettura, legati a un meccanismo di produzione e consumo piuttosto che ai reali bisogni dell’uomo. Sente l’esigenza di viaggiare, per lui condizione necessaria dello stare al mondo. Il viaggio per Sottsass è lo strumento che aiuta l’individuo a trovare la giusta distanza dalla realtà che lo circonda. Durante questi viaggi non si limita a fotografare, ma costruisce spazi temporanei attraverso l’uso di materiali naturali, corde, tessuti oggetti trovati. Nelle Metafore la costruzione dell’immagine coincide esattamente con la costruzione dello spazio, è un vero e proprio sistema di scrittura spaziale. Ma che tipo di opere sono queste metafore? Non sono certo solo fotografie, sono invece architetture senza muri, stanze in cui natura e architettura si confondono, proiezioni dell’immaginazione. Sono il vuoto in cui l’architettura si rivela grazie alle tracce di una presenza umana, monologhi interiori tra luoghi e anima. Mappa di un viaggio all’interno del proprio io, non a caso condiviso con una giovane artista Spagnola, per sei anni, compagna di avventura e non solo. Il deserto diventa così luogo di aspirazioni, desideri, e di simbologie contemporanee. Per provare a parlare di Sottsass per l’ultima volta abbiamo chiesto a Stefano Graziani di inseguire queste metafore per raccontare il mondo, anzi di guardare il mondo che ci circonda con la stessa curiosità, essendo convinti che in ogni frammento del reale sia nascosto uno spazio, una traccia di architettura. Stefano Graziani lo ha fatto selezionando un gruppo di giovani fotografi. Ha guardato e riguardato le Metafore di Sottsass ancora per una volta, cercando tracce da seguire.
2018
9788867641598
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11581/420002
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