La fine dell'Utopia Di luca galofaro Se davvero si vuole tornare a pensare l’architettura non solo come produzione di fittizi regni dell’immaginazione, ma anche come possibilità di dare senso al reale nella sua forma, allora occorre pensare l’architettura non più come diagramma di tutto, bensì come fatto specifico che trova il proprio fondamento nell’uso delle cose…l’uso dello spazio si incarna direttamente nella forma architettonica e quindi non ha bisogno di nessuna altra rappresentazione se non la forma in tutta la sua assolutezza di oggetto. Gabriele Mastrigli-Pier Vittorio Aureli In questo momento storico l’architettura è totalmente autoreferenziale, l’architetto non ha più bisogno della città come luogo della rappresentazione ma ha bisogno dei media. Questo ha allargato il campo di azione e rappresentazione avvicinando l’architettura a quel mondo liquido teorizzato da Bauman, indebolendola e allontanandola dall’essere disciplina autonoma, ovvero regolata da leggi interne. Il valore sociale dell’architettura si basava appunto su queste prerogative, mentre ora si basa sul consumo dei luoghi e degli spazi, o meglio sul consumo delle immagini che li rappresentano. L'utopia di cui si parla sempre più spesso non ha nulla a che vedere con il progetto è oramai pura immagine svuotata da ogni significato. Hans Hollein negli anni sessanta rompeva con l’immagine idilliaca dell’architettura, sostituendola con oggetti d’uso comune dichiarando che tutto è architettura; non pensa più in termini di stile, di convenzionali opere architettoniche, ma considera l’architettura come l’arte, espressione dello spirito umano. Così facendo ha determinato la fine di ogni utopia. Architettura e territorio si fondono quando una portaerei diventa una struttura che crea un paesaggio antropizzato, nessun elemento prevale sull’altro. Le parole di Hollein assumono oggi un significato ancora più profondo, nel momento esatto in cui tutto è diventato realmente architettura. Ma se tutto è architettura è sempre più difficile comprendere il tipo di spazi che la caratterizzano e quale pratica sia giusto seguire per produrli. Sono fermamente convinto che sia opportuno praticare l’architettura come disciplina di pensiero e progetto, andando oltre la semplice produzione di forme e oggetti. Nel corso degli anni con diversi progetti ho provato ha sostenere che oggi non è più possibile parlare di architettura utopica, oggi la vera utopia è quella di provare a realizzare un progetto che trova il proprio fondamento nell’uso concreto degli spazi. Il progetto Microutopie per esempio è una dichiarazione di intenti vuole riportare la portaerei isolata nel deserto di Hollein all’interno del suo contesto naturale, il mare, attraverso questa operazione restituisco valore all’architettura, che ritorna ad essere progetto. La portaerei non è più un oggetto che si trasforma in architettura, ma una realtà oggettiva un fatto architettonico, che attraverso il programma struttura il suo territorio. Nel momento in cui l’architettura ricicla la portaerei, un nuovo programma funzionale amplifica la sua portata. In Artscape, la portaerei diventa museo, in housescape, la portaerei diventa abitazione, in sportscape la portaerei diventa un parco tematico, in landscape, la portaerei ritorna ad essere un paesaggio naturale. Le portaerei trasformate rappresentano il limite tra due specificità: non sono più navi da guerra, non sono certo delle architetture pure, diventano strategie operative. Con un progetto di architettura è fondamentale seguire le richieste del mercato e costruire buoni edifici, ma è altrettanto fondamentale fare in modo che il progetto continui ad essere uno strumento di pensiero interpretativo della realtà. L’architettura non deve solo prefigurare il futuro ma deve crearne le condizioni dando forma alla realtà del presente, per farlo è necessario un atteggiamento culturale che abbia l’esigenza di nuove formulazioni teoriche e linguistiche, che non si riducano all’attuale condizione di perenne antagonismo tra posizioni diverse, dove si continua a riprodurre il reale o auspicare un’Architettura Radicale o che sia d’Avanguardia perché utilizza strumenti particolari e che sia capace di produrre a getto continuo nuove Utopie. Ma tutto questo è impossibile perché la condizione denominata negli anni settanta radicale, per i suoi connotati politici e sociali e per i continui riferimenti alle avanguardie artistiche che sovvertivano i linguaggi moderni, non è più praticabile; non si può scegliere di essere radicali, l’avanguardia poi cambia di continuo perchè legata a molteplici paradigmi le cui linee di ricerca hanno frammentato ogni discorso sullo spazio. I paradigmi producono solo linguaggi diversi in continua lotta tra di loro. L’ubriacatura del digitale, la morfogenesi parametrica, la sostenibilità, la tecnologia, solo per citare i paradigmi più diffusi, non hanno avuto la forza di modificare fino in fondo lo spazio reale ma hanno creato fino a questo momento, mondi isolati, che faticano a sovrapporsi. Non esiste neanche la possibilità di ripensare lo spazio urbano attraverso una dialettica politica e culturale, perché la politica si è trasformata in un’amministrazione economica della cosa pubblica, e la cultura coincide sempre più con un mercato che vede l’arte come la nuova frontiera del consumo. L’architettura si è adattata ai cambiamenti, è divenuta un prodotto da consumare velocemente, e come tale sono le immagini a diventare attraverso il senso di meraviglia il veicolo di una potenza persuasiva che modella le coscienze e disciplina la società. L’immaginazione utopica si è trasformata in una distopia reale, un’utopia virtuale che ha consumato il nostro futuro. L’ha sottratto alla sfera dell’immaginazione e della volontà umana. Come ricomporre il significato ma, soprattutto, come far coincidere ancora immaginario ed immaginazione, se non attraverso una riconsiderazione dell’architettura non come linguaggio o come paradigma, ma come progetto teorico. Se Microutopie può essere considerato una manifesto di un attitudine progettuale altri due progetti agiscono in modo più specifico sulla realtà, il primo è un progetto sulla mia idea di città e su Roma in particolare, il secondo si confronta con la scala dell'edificio, il museo M20 a Berlino. la Città della scienza a Roma Ogni città è composta da tante città. Il futuro di una città è sempre una lettura attenta del suo passato. Molti progetti di pianificazione urbana sono il risultato di investimenti privati, ma in questo caso l’iniziativa è guidata da un iniziativa pubblica e per questo motivo che il progetto definisce dei principi vitali che siano in grado di creare i presupposti di una nuova idea di comunità civica, in cui le logiche del profitto siano in un certo senso piegate ad un idea di città, che rispetti le esigenze primarie del vivere associati. L’idea di città, infatti, deve prevalere sull’immagine della città. Questa proposta non offre un’ immagine ma un principio organizzativo capace di definire una città possibile che cerca con estrema chiarezza di sostituire l’immagine con la forma della città. Questo principio organizzativo si basa sulla convivenza di due città. La città di sotto La città di sotto è la città che non deve essere cancellata, é fatta dall'insieme di tracce ed edifici preesistenti all' intervento. Racchiude le tracce, preserva l’integrità dei luoghi facendo della struttura esistente un generatore di spazio e allo stesso tempo un luogo riconoscibile in ogni sua parte. La città di sotto è la città che conosciamo che percorriamo tutti i giorni. La città pubblica. La qualità degli spazi pubblici è garantita da una distribuzione degli edifici che non consuma suolo. La città di sopra La città di sopra è la città del futuro che cresce in relazione alla città di sotto, amplificando le sue caratteristiche, è una città che cresce senza sostituire i pezzi, è una città fatta di strati e sovrapposizioni piuttosto che di edifici unici. Una città muta che sfrutta la città di sotto per vivere e svilupparsi. E' semplicemente Roma. Questo nuovo livello della città si salderà con il tempo al vecchio tessuto e ne diventerà parte integrante. L'immagine della città è quella volumi sospesi sugli edifici esistenti. E’ a questo punto indispensabile creare una coesistenza tra il sopra e il sotto, tra l'assenza di una lingua e la forza dell'immagine che tutti riconosciamo ai manufatti esistenti. Le due città si fondono attraverso delle ARCHITETTURE IDEALI, che appartengono ad entrambe. In questo modo l'architettura disegna la forma della città. Edifici Tra le architetture ideali che definisco gli spazi della città ci sono i musei. I musei così come sono concepiti oggi forse non hanno più senso di esistere, la loro forza iconica gestisce un rapporto formale con il territorio, lo spazio nasconde le opere invece di mostrarle. E’ necessario invece pensare il museo come dispositivo capace di agire sullo spazio urbano con modalità diverse. La proposta per il museo M 20 a Berlino lavora su due elementi importanti che caratterizzano l'impianto urbano e di conseguenza l'architettura della città: Il VUOTO e lo SCAVO. Il Vuoto come strumento compositivo, elemento che struttura lo spazio, lo Scavo come forma del costruire primaria, che definisce l'architettura attraverso la sua assenza. I musei contemporanei dialogano con la città attraverso la loro forma, la città si adatta alle loro caratteristiche usandoli come punti di attrazione. In questo caso il museo è lo spazio urbano, il vuoto appunto. A Berlino l'intera area del concorso è un polo museale che raccoglie icone dell'architettura moderna attualmente ogni edificio è però disconnesso dagli altri. Con questo progetto non desideravo aggiungere una nuova icona al tessuto esistente ma cercare una coesione tra tutti gli edifici presenti nell'area. Penso sia necessario legare tra di loro i diversi musei attraverso il disegno degli spazi pubblici che li circondano, in questo modo il museo diventa prima di tutto uno spazio urbano da utilizzare. Il Museo M20 rinuncia alla propria forma cercando di definire la struttura della città che lo circonda, occupa meno area possibile preservando il vuoto dell'area di concorso mantenendo intatto il progetto delle aree verdi definito dal masterplan kultuforum 2014. Il vuoto viene utilizzato come strumento di definizione del luogo, elemento generatore ed ordinatore della struttura urbana, è lo spazio catalizzatore, su di esso si addensano tutte le piazze che circondano l'area oggetto del concorso. Sarà dunque l'uso quotidiano degli spazi aperti ad assumere un’importanza strategica per l'area, in questo modo il museo sarà parte integrante della città di Berlino. Per mantenere libero il lotto a disposizione è necessario scavare il corpo della città per ricavare la superficie utile per le aree espositive. Lo scavo circolare nel terreno definisce lo spazio del museo attraverso l'assenza dell'edificio, questo scavo ci permette di dialogare con l'edificio della Nationalgalerie in modo inaspettato evidenziando ed esaltando le caratteristiche dell'architettura di Mies van Der Rohe capace di rappresentare il vuoto con un museo di dimensioni inconsuete per il periodo in cui è stato realizzato. Allo scavo si aggiunge un volume lineare che idealmente e visualmente riconnette il fronte urbano. Nessuna utopia in questi progetti ma l'esigenza di restituire significato al progetto d' architettura.

La fine dell'utopia

luca galofaro
2018-01-01

Abstract

La fine dell'Utopia Di luca galofaro Se davvero si vuole tornare a pensare l’architettura non solo come produzione di fittizi regni dell’immaginazione, ma anche come possibilità di dare senso al reale nella sua forma, allora occorre pensare l’architettura non più come diagramma di tutto, bensì come fatto specifico che trova il proprio fondamento nell’uso delle cose…l’uso dello spazio si incarna direttamente nella forma architettonica e quindi non ha bisogno di nessuna altra rappresentazione se non la forma in tutta la sua assolutezza di oggetto. Gabriele Mastrigli-Pier Vittorio Aureli In questo momento storico l’architettura è totalmente autoreferenziale, l’architetto non ha più bisogno della città come luogo della rappresentazione ma ha bisogno dei media. Questo ha allargato il campo di azione e rappresentazione avvicinando l’architettura a quel mondo liquido teorizzato da Bauman, indebolendola e allontanandola dall’essere disciplina autonoma, ovvero regolata da leggi interne. Il valore sociale dell’architettura si basava appunto su queste prerogative, mentre ora si basa sul consumo dei luoghi e degli spazi, o meglio sul consumo delle immagini che li rappresentano. L'utopia di cui si parla sempre più spesso non ha nulla a che vedere con il progetto è oramai pura immagine svuotata da ogni significato. Hans Hollein negli anni sessanta rompeva con l’immagine idilliaca dell’architettura, sostituendola con oggetti d’uso comune dichiarando che tutto è architettura; non pensa più in termini di stile, di convenzionali opere architettoniche, ma considera l’architettura come l’arte, espressione dello spirito umano. Così facendo ha determinato la fine di ogni utopia. Architettura e territorio si fondono quando una portaerei diventa una struttura che crea un paesaggio antropizzato, nessun elemento prevale sull’altro. Le parole di Hollein assumono oggi un significato ancora più profondo, nel momento esatto in cui tutto è diventato realmente architettura. Ma se tutto è architettura è sempre più difficile comprendere il tipo di spazi che la caratterizzano e quale pratica sia giusto seguire per produrli. Sono fermamente convinto che sia opportuno praticare l’architettura come disciplina di pensiero e progetto, andando oltre la semplice produzione di forme e oggetti. Nel corso degli anni con diversi progetti ho provato ha sostenere che oggi non è più possibile parlare di architettura utopica, oggi la vera utopia è quella di provare a realizzare un progetto che trova il proprio fondamento nell’uso concreto degli spazi. Il progetto Microutopie per esempio è una dichiarazione di intenti vuole riportare la portaerei isolata nel deserto di Hollein all’interno del suo contesto naturale, il mare, attraverso questa operazione restituisco valore all’architettura, che ritorna ad essere progetto. La portaerei non è più un oggetto che si trasforma in architettura, ma una realtà oggettiva un fatto architettonico, che attraverso il programma struttura il suo territorio. Nel momento in cui l’architettura ricicla la portaerei, un nuovo programma funzionale amplifica la sua portata. In Artscape, la portaerei diventa museo, in housescape, la portaerei diventa abitazione, in sportscape la portaerei diventa un parco tematico, in landscape, la portaerei ritorna ad essere un paesaggio naturale. Le portaerei trasformate rappresentano il limite tra due specificità: non sono più navi da guerra, non sono certo delle architetture pure, diventano strategie operative. Con un progetto di architettura è fondamentale seguire le richieste del mercato e costruire buoni edifici, ma è altrettanto fondamentale fare in modo che il progetto continui ad essere uno strumento di pensiero interpretativo della realtà. L’architettura non deve solo prefigurare il futuro ma deve crearne le condizioni dando forma alla realtà del presente, per farlo è necessario un atteggiamento culturale che abbia l’esigenza di nuove formulazioni teoriche e linguistiche, che non si riducano all’attuale condizione di perenne antagonismo tra posizioni diverse, dove si continua a riprodurre il reale o auspicare un’Architettura Radicale o che sia d’Avanguardia perché utilizza strumenti particolari e che sia capace di produrre a getto continuo nuove Utopie. Ma tutto questo è impossibile perché la condizione denominata negli anni settanta radicale, per i suoi connotati politici e sociali e per i continui riferimenti alle avanguardie artistiche che sovvertivano i linguaggi moderni, non è più praticabile; non si può scegliere di essere radicali, l’avanguardia poi cambia di continuo perchè legata a molteplici paradigmi le cui linee di ricerca hanno frammentato ogni discorso sullo spazio. I paradigmi producono solo linguaggi diversi in continua lotta tra di loro. L’ubriacatura del digitale, la morfogenesi parametrica, la sostenibilità, la tecnologia, solo per citare i paradigmi più diffusi, non hanno avuto la forza di modificare fino in fondo lo spazio reale ma hanno creato fino a questo momento, mondi isolati, che faticano a sovrapporsi. Non esiste neanche la possibilità di ripensare lo spazio urbano attraverso una dialettica politica e culturale, perché la politica si è trasformata in un’amministrazione economica della cosa pubblica, e la cultura coincide sempre più con un mercato che vede l’arte come la nuova frontiera del consumo. L’architettura si è adattata ai cambiamenti, è divenuta un prodotto da consumare velocemente, e come tale sono le immagini a diventare attraverso il senso di meraviglia il veicolo di una potenza persuasiva che modella le coscienze e disciplina la società. L’immaginazione utopica si è trasformata in una distopia reale, un’utopia virtuale che ha consumato il nostro futuro. L’ha sottratto alla sfera dell’immaginazione e della volontà umana. Come ricomporre il significato ma, soprattutto, come far coincidere ancora immaginario ed immaginazione, se non attraverso una riconsiderazione dell’architettura non come linguaggio o come paradigma, ma come progetto teorico. Se Microutopie può essere considerato una manifesto di un attitudine progettuale altri due progetti agiscono in modo più specifico sulla realtà, il primo è un progetto sulla mia idea di città e su Roma in particolare, il secondo si confronta con la scala dell'edificio, il museo M20 a Berlino. la Città della scienza a Roma Ogni città è composta da tante città. Il futuro di una città è sempre una lettura attenta del suo passato. Molti progetti di pianificazione urbana sono il risultato di investimenti privati, ma in questo caso l’iniziativa è guidata da un iniziativa pubblica e per questo motivo che il progetto definisce dei principi vitali che siano in grado di creare i presupposti di una nuova idea di comunità civica, in cui le logiche del profitto siano in un certo senso piegate ad un idea di città, che rispetti le esigenze primarie del vivere associati. L’idea di città, infatti, deve prevalere sull’immagine della città. Questa proposta non offre un’ immagine ma un principio organizzativo capace di definire una città possibile che cerca con estrema chiarezza di sostituire l’immagine con la forma della città. Questo principio organizzativo si basa sulla convivenza di due città. La città di sotto La città di sotto è la città che non deve essere cancellata, é fatta dall'insieme di tracce ed edifici preesistenti all' intervento. Racchiude le tracce, preserva l’integrità dei luoghi facendo della struttura esistente un generatore di spazio e allo stesso tempo un luogo riconoscibile in ogni sua parte. La città di sotto è la città che conosciamo che percorriamo tutti i giorni. La città pubblica. La qualità degli spazi pubblici è garantita da una distribuzione degli edifici che non consuma suolo. La città di sopra La città di sopra è la città del futuro che cresce in relazione alla città di sotto, amplificando le sue caratteristiche, è una città che cresce senza sostituire i pezzi, è una città fatta di strati e sovrapposizioni piuttosto che di edifici unici. Una città muta che sfrutta la città di sotto per vivere e svilupparsi. E' semplicemente Roma. Questo nuovo livello della città si salderà con il tempo al vecchio tessuto e ne diventerà parte integrante. L'immagine della città è quella volumi sospesi sugli edifici esistenti. E’ a questo punto indispensabile creare una coesistenza tra il sopra e il sotto, tra l'assenza di una lingua e la forza dell'immagine che tutti riconosciamo ai manufatti esistenti. Le due città si fondono attraverso delle ARCHITETTURE IDEALI, che appartengono ad entrambe. In questo modo l'architettura disegna la forma della città. Edifici Tra le architetture ideali che definisco gli spazi della città ci sono i musei. I musei così come sono concepiti oggi forse non hanno più senso di esistere, la loro forza iconica gestisce un rapporto formale con il territorio, lo spazio nasconde le opere invece di mostrarle. E’ necessario invece pensare il museo come dispositivo capace di agire sullo spazio urbano con modalità diverse. La proposta per il museo M 20 a Berlino lavora su due elementi importanti che caratterizzano l'impianto urbano e di conseguenza l'architettura della città: Il VUOTO e lo SCAVO. Il Vuoto come strumento compositivo, elemento che struttura lo spazio, lo Scavo come forma del costruire primaria, che definisce l'architettura attraverso la sua assenza. I musei contemporanei dialogano con la città attraverso la loro forma, la città si adatta alle loro caratteristiche usandoli come punti di attrazione. In questo caso il museo è lo spazio urbano, il vuoto appunto. A Berlino l'intera area del concorso è un polo museale che raccoglie icone dell'architettura moderna attualmente ogni edificio è però disconnesso dagli altri. Con questo progetto non desideravo aggiungere una nuova icona al tessuto esistente ma cercare una coesione tra tutti gli edifici presenti nell'area. Penso sia necessario legare tra di loro i diversi musei attraverso il disegno degli spazi pubblici che li circondano, in questo modo il museo diventa prima di tutto uno spazio urbano da utilizzare. Il Museo M20 rinuncia alla propria forma cercando di definire la struttura della città che lo circonda, occupa meno area possibile preservando il vuoto dell'area di concorso mantenendo intatto il progetto delle aree verdi definito dal masterplan kultuforum 2014. Il vuoto viene utilizzato come strumento di definizione del luogo, elemento generatore ed ordinatore della struttura urbana, è lo spazio catalizzatore, su di esso si addensano tutte le piazze che circondano l'area oggetto del concorso. Sarà dunque l'uso quotidiano degli spazi aperti ad assumere un’importanza strategica per l'area, in questo modo il museo sarà parte integrante della città di Berlino. Per mantenere libero il lotto a disposizione è necessario scavare il corpo della città per ricavare la superficie utile per le aree espositive. Lo scavo circolare nel terreno definisce lo spazio del museo attraverso l'assenza dell'edificio, questo scavo ci permette di dialogare con l'edificio della Nationalgalerie in modo inaspettato evidenziando ed esaltando le caratteristiche dell'architettura di Mies van Der Rohe capace di rappresentare il vuoto con un museo di dimensioni inconsuete per il periodo in cui è stato realizzato. Allo scavo si aggiunge un volume lineare che idealmente e visualmente riconnette il fronte urbano. Nessuna utopia in questi progetti ma l'esigenza di restituire significato al progetto d' architettura.
2018
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