Questo studio ha permesso di ricostruire, per la prima volta nell’Appennino Umbro-Marchigiano, l’evoluzione temporale dell’uso del suolo lungo un arco di tempo di 150 anni e su una superficie di vasta estensione (circa 8000 ettari). Il dato principale che emerge è la sostanziale discontinuità ecologica di tutti gli ecosistemi naturali e seminaturali, fatte salve alcune importanti patches pascolive e, in misura molto minore, boschive. In totale neanche il 20% del territorio dell’area considerata è rimasto stabile nel corso degli ultimi 150 anni; queste aree rappresentano, dal punto di vista floristico, dei potenziali siti di rifugio per le specie erbacee di prateria e per quelle sciafile di bosco. Si tratta quindi di siti estremamente importanti per la conservazione della biodiversità e serbatoi genetici da cui può ripartire la colonizzazione degli ambienti antropizzati e non più utilizzati come le aree agricole abbandonate. È interessante annotare, ad esempio, come proprio in corrispondenza della più ampia patch forestale stabile (Monte Fiegni) sia presente una delle più importanti stazioni dell’Appennino Umbro-Marchigiano di tasso (Taxus baccata) ed agrifoglio (Ilex aquifolium), all’interno di una faggeta basso-montana. Si evidenzia, inoltre, una tendenza alla semplificazione del mosaico ambientale di queste aree montane. Tale semplificazione risulta bene evidente per gli ecosistemi di prateria (stabili e neoformati) che tendono a conservarsi prioritariamente all’interno delle classi di pendenza minore. Questo fenomeno riassume in se il senso dei mutati input che l’economia contemporanea offre alle attività zootecniche; nel corso dei secoli, infatti, si è passati da forme di economia basate sulla transumanza ovina ad un’attività zootecnica di tipo stanziale e dedita soprattutto all’allevamento bovino. Questa differente tipologia zootecnica richiede habitat diversi e, in particolare per quanto concerne i bovini, sono assolutamente indispensabili praterie di elevata produttività e moderata stasi estiva, condizioni che nell’Appennino si verificano solo in corrispondenza delle aree caratterizzate da morfologie a bassa energia di rilievo e in cui si sono anche conservati suoli profondi. Permanendo queste tendenze socio-economiche, dunque, in futuro tenderanno sostanzialmente a scomparire gli ecosistemi di prateria aperta sostituiti da boschi. Questo, se da un lato rappresenta un aspetto che va nel senso della naturale dinamica degli ecosistemi, dall’altro potrebbe comportare dei problemi per la conservazione della biodiversità floristica e faunistica.

Analisi multitemporale dell’uso del suolo della dorsale appenninica marchigiana nel XIX e XX secolo

CATORCI, Andrea
2007-01-01

Abstract

Questo studio ha permesso di ricostruire, per la prima volta nell’Appennino Umbro-Marchigiano, l’evoluzione temporale dell’uso del suolo lungo un arco di tempo di 150 anni e su una superficie di vasta estensione (circa 8000 ettari). Il dato principale che emerge è la sostanziale discontinuità ecologica di tutti gli ecosistemi naturali e seminaturali, fatte salve alcune importanti patches pascolive e, in misura molto minore, boschive. In totale neanche il 20% del territorio dell’area considerata è rimasto stabile nel corso degli ultimi 150 anni; queste aree rappresentano, dal punto di vista floristico, dei potenziali siti di rifugio per le specie erbacee di prateria e per quelle sciafile di bosco. Si tratta quindi di siti estremamente importanti per la conservazione della biodiversità e serbatoi genetici da cui può ripartire la colonizzazione degli ambienti antropizzati e non più utilizzati come le aree agricole abbandonate. È interessante annotare, ad esempio, come proprio in corrispondenza della più ampia patch forestale stabile (Monte Fiegni) sia presente una delle più importanti stazioni dell’Appennino Umbro-Marchigiano di tasso (Taxus baccata) ed agrifoglio (Ilex aquifolium), all’interno di una faggeta basso-montana. Si evidenzia, inoltre, una tendenza alla semplificazione del mosaico ambientale di queste aree montane. Tale semplificazione risulta bene evidente per gli ecosistemi di prateria (stabili e neoformati) che tendono a conservarsi prioritariamente all’interno delle classi di pendenza minore. Questo fenomeno riassume in se il senso dei mutati input che l’economia contemporanea offre alle attività zootecniche; nel corso dei secoli, infatti, si è passati da forme di economia basate sulla transumanza ovina ad un’attività zootecnica di tipo stanziale e dedita soprattutto all’allevamento bovino. Questa differente tipologia zootecnica richiede habitat diversi e, in particolare per quanto concerne i bovini, sono assolutamente indispensabili praterie di elevata produttività e moderata stasi estiva, condizioni che nell’Appennino si verificano solo in corrispondenza delle aree caratterizzate da morfologie a bassa energia di rilievo e in cui si sono anche conservati suoli profondi. Permanendo queste tendenze socio-economiche, dunque, in futuro tenderanno sostanzialmente a scomparire gli ecosistemi di prateria aperta sostituiti da boschi. Questo, se da un lato rappresenta un aspetto che va nel senso della naturale dinamica degli ecosistemi, dall’altro potrebbe comportare dei problemi per la conservazione della biodiversità floristica e faunistica.
2007
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