Il monitoraggio dell’inquinamento atmosferico è comunemente effettuato impiegando apparecchiature a volte complesse e sofisticate: le centraline elettroniche di rilevamento. Tali strumenti forniscono, in tempo reale e con risultati precisi, l’andamento della concentrazione degli inquinanti. Si tratta di un rilevamento di tipo puntiforme e richiede alti costi di gestione; è necessario cercare nuovi strumenti, che siano in grado di considerare la dispersione, il trasporto e le ricadute degli elementi su vaste aree. Solo i bioindicatori forniscono indicazioni sugli effetti biologici di una determinata situazione di inquinamento, tenendo in considerazione in modo “naturale“ il sinergismo tra le varie sostanze tossiche. Il biomonitoraggio offre, inoltre, garanzie di buona attendibilità, essendo possibile impiegare organismi diversi per vari inquinanti e fornisce informazioni retroattive, poiché i sintomi possono essere riscontrati anche ad una certa distanza dall’episodio di inquinamento. Le piante superiori offrono notevoli possibilità come indicatori, in quanto, avendo scambi gassosi con l’ambiente molto superiori a quelli dell’Uomo e degli animali ed una minor complessità dei sistemi di difesa se si escludono la detossificazione e la riparazione, presentano una sensibilità maggiore nei confronti di molte sostanze inquinanti. La maggior parte delle piante vascolari previene l’assorbimento e la traslocazione degli inquinanti presenti nel suolo, immobilizzandoli nella membrana plasmatica delle radici o nelle ife delle micorrizie. Grazie a questa capacità di “esclusione”, moltissime specie di piante superiori riescono a prevenire eventuali effetti tossici degli inquinanti presenti nel suolo ed a mantenere piuttosto costante la composizione elementare dei loro tessuti. Molti contaminanti atmosferici sono associati al “particolato” e, negli ecosistemi terrestri, le foglie degli alberi e le piante erbacee costituiscono la componente biotica più esposta alla sedimentazione, all’impatto e alla intercettazione degli aerosol. L’intercettazione dipende dalla disposizione e morfologia delle foglie e da ”effetti di superficie” impossibili da riprodurre nelle apparecchiature di campionamento del particellato atmosferico. L’analisi delle piante vascolari è un valido approccio per valutare il trasferimento dei contaminanti ai consumatori primari e ai livelli più elevati delle catene trofiche terrestri. La maggior parte degli alberi tollera concentrazioni piuttosto elevate di inquinanti atmosferici fitotossici; alcune specie sono state introdotte in quasi tutti i continenti e, grazie alla propagazione vegetativa, sono caratterizzate da notevole uniformità genetica. Tra le applicazioni delle piante vascolari, si può ricordare l’uso delle piante del tabacco per biomonitorare l’ozono, l’uso delle Leguminose (erba medica, trifoglio) e di alcune cultivar di bulbose da fiore (tulipano e gladiolo) per valutare, rispettivamente, inquinamento da biossido di zolfo (SO2) e fluoruri. L’utilizzo dei muschi come bioaccumulatori offre notevoli vantaggi nel monitoraggio di elementi in tracce, in quanto essi ricevono prevalentemente le sostanze per il loro sostentamento direttamente dall’ambiente aeriforme che li circonda, riuscendo a vivere in ambienti ad elevata contaminazione. Inoltre, i risultati ottenuti con questa tecnica sono stati confermati da quelli acquisiti con le centraline di monitoraggio convenzionale. Occorre tuttavia precisare che affinchè i dati acquisiti mediante i bioindicatori siano accettati a pieno titolo occorre che tutte le procedure, dal campionamento all'elaborazione dei risultati, seguano in modo scrupoloso norme con un protocollo uniformato. Nel caso specifico, per le informazioni che si volevano trarre, è stata privilegiata la tecnica che vede l’utilizzo dei muschi indigeni (memoria passata) per valutare le deposizioni atmosferiche di origine antropica. Il suolo influisce in minima parte in quanto i muschi sono privi di vere radici e di un tessuto di conduzione per l’acqua; il substrato deve in ogni caso venire raccolto per valutare l’effetto suolo. Il presente studio intende valutare l’accumulo di elementi in tracce derivanti da attività antropiche e/o crostali mediante campioni di suolo e muschio indigeno. Il muschio utilizzato appartiene alla specie Hypnum cupressiforme, che è stata preferita in quanto ubiquitaria su quasi tutto il territorio europeo.

Parco Nazionale dei Monti Sibillini: suoli e muschi indigeni per valutare le ricadute di elementi in tracce.

ALEFFI, Michele;
2001-01-01

Abstract

Il monitoraggio dell’inquinamento atmosferico è comunemente effettuato impiegando apparecchiature a volte complesse e sofisticate: le centraline elettroniche di rilevamento. Tali strumenti forniscono, in tempo reale e con risultati precisi, l’andamento della concentrazione degli inquinanti. Si tratta di un rilevamento di tipo puntiforme e richiede alti costi di gestione; è necessario cercare nuovi strumenti, che siano in grado di considerare la dispersione, il trasporto e le ricadute degli elementi su vaste aree. Solo i bioindicatori forniscono indicazioni sugli effetti biologici di una determinata situazione di inquinamento, tenendo in considerazione in modo “naturale“ il sinergismo tra le varie sostanze tossiche. Il biomonitoraggio offre, inoltre, garanzie di buona attendibilità, essendo possibile impiegare organismi diversi per vari inquinanti e fornisce informazioni retroattive, poiché i sintomi possono essere riscontrati anche ad una certa distanza dall’episodio di inquinamento. Le piante superiori offrono notevoli possibilità come indicatori, in quanto, avendo scambi gassosi con l’ambiente molto superiori a quelli dell’Uomo e degli animali ed una minor complessità dei sistemi di difesa se si escludono la detossificazione e la riparazione, presentano una sensibilità maggiore nei confronti di molte sostanze inquinanti. La maggior parte delle piante vascolari previene l’assorbimento e la traslocazione degli inquinanti presenti nel suolo, immobilizzandoli nella membrana plasmatica delle radici o nelle ife delle micorrizie. Grazie a questa capacità di “esclusione”, moltissime specie di piante superiori riescono a prevenire eventuali effetti tossici degli inquinanti presenti nel suolo ed a mantenere piuttosto costante la composizione elementare dei loro tessuti. Molti contaminanti atmosferici sono associati al “particolato” e, negli ecosistemi terrestri, le foglie degli alberi e le piante erbacee costituiscono la componente biotica più esposta alla sedimentazione, all’impatto e alla intercettazione degli aerosol. L’intercettazione dipende dalla disposizione e morfologia delle foglie e da ”effetti di superficie” impossibili da riprodurre nelle apparecchiature di campionamento del particellato atmosferico. L’analisi delle piante vascolari è un valido approccio per valutare il trasferimento dei contaminanti ai consumatori primari e ai livelli più elevati delle catene trofiche terrestri. La maggior parte degli alberi tollera concentrazioni piuttosto elevate di inquinanti atmosferici fitotossici; alcune specie sono state introdotte in quasi tutti i continenti e, grazie alla propagazione vegetativa, sono caratterizzate da notevole uniformità genetica. Tra le applicazioni delle piante vascolari, si può ricordare l’uso delle piante del tabacco per biomonitorare l’ozono, l’uso delle Leguminose (erba medica, trifoglio) e di alcune cultivar di bulbose da fiore (tulipano e gladiolo) per valutare, rispettivamente, inquinamento da biossido di zolfo (SO2) e fluoruri. L’utilizzo dei muschi come bioaccumulatori offre notevoli vantaggi nel monitoraggio di elementi in tracce, in quanto essi ricevono prevalentemente le sostanze per il loro sostentamento direttamente dall’ambiente aeriforme che li circonda, riuscendo a vivere in ambienti ad elevata contaminazione. Inoltre, i risultati ottenuti con questa tecnica sono stati confermati da quelli acquisiti con le centraline di monitoraggio convenzionale. Occorre tuttavia precisare che affinchè i dati acquisiti mediante i bioindicatori siano accettati a pieno titolo occorre che tutte le procedure, dal campionamento all'elaborazione dei risultati, seguano in modo scrupoloso norme con un protocollo uniformato. Nel caso specifico, per le informazioni che si volevano trarre, è stata privilegiata la tecnica che vede l’utilizzo dei muschi indigeni (memoria passata) per valutare le deposizioni atmosferiche di origine antropica. Il suolo influisce in minima parte in quanto i muschi sono privi di vere radici e di un tessuto di conduzione per l’acqua; il substrato deve in ogni caso venire raccolto per valutare l’effetto suolo. Il presente studio intende valutare l’accumulo di elementi in tracce derivanti da attività antropiche e/o crostali mediante campioni di suolo e muschio indigeno. Il muschio utilizzato appartiene alla specie Hypnum cupressiforme, che è stata preferita in quanto ubiquitaria su quasi tutto il territorio europeo.
2001
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11581/109030
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